È alla sera che si svelano le questioni più cruciali così come alla sera della vita, tutti, ci troveremo ad affrontare l’ultima lotta dalla quale dipenderà il senso dell’intera esistenza. Le nostre battaglie arriveranno ad un dunque e, in quel giorno, comprenderemo a chiare lettere per cosa ci siamo spesi veramente.
Mi chiedo come affronterà quel transito chi si è approfittato dei piccoli in questo mondo, quanti hanno cercato di arricchirsi senza scrupoli o di calpestare la dignità altrui sopprimendone perfino la vita. Non mi riferisco solo ai malavitosi o criminali di ogni genere, ma anche a politici corrotti o grandi manager che per procacciare indicibili profitti non hanno tenuto conto di quello che propinavano come buono e che invece ha strappato la salute ad intere generazioni. Penso pure ai buonisti, a quanti sono rimasti a guardare difendendo il proprio tornaconto, coloro che hanno scelto l’indifferenza o, ancora, di dare qualche scarto per apparire bravi ma senza ritenersi responsabili della custodia altrui.
Il mondo attuale delega ad eroi e bravi condottieri le battaglie salienti dimenticando che i cambiamenti sono realmente frutto dell’opera di ciascuno. Il Vangelo, diversamente, restituisce prospettiva consegnando ad ogni individuo responsabilità personale, potere sulle cose, capacità di agire unitamente agli altri per generare comunione e, dunque, processi solidali.
La Parola di questa domenica (Mt 14, 13 -21) è emblematica nel mostrare l’epilogo di due banchetti diametralmente opposti: quello di Erode che porterà alla morte di Giovanni Battista e quello di Gesù che provocherà la condivisione di quello che i discepoli hanno e sono, per donare vita alle folle. Nel primo caso assistiamo ad un potere che produce storie parentali illusorie basate su trame di morte, nel secondo troviamo la prossimità della compassione che genera alla vita facendo uscire dall’anonimato.
L’immagine del banchetto, nella Scrittura, è emblematica per esprimere la postura esistenziale della persona. Stando a tavola è possibile osservare la voracità o l’accoglienza dei commensali, troviamo chi brama mangiare e chi invece offre e rimane attento agli altri. Il focus della mensa dovrebbe rimanere la relazione e non centrarsi sul cibo, il mangiare insieme veicola i rapporti umani ed è per questo che la mensa è il luogo della comunione e non dell’isolamento, chi è abituato a mangiare da solo rischia di ammalarsi!
Gesù è passato all’altra riva con i discepoli, ha saputo della morte di Giovanni e ha bisogno di ritirarsi. Quando il male vorrebbe dimostrare le sue ragioni abbiamo bisogno di custodire la luce per fronteggiare il buio. Potremmo intendere questo movimento quale necessità di raccoglimento e dialogo con il Padre così come ci è necessaria la preghiera per non essere destabilizzati dal tanto male che ci circonda. Gesù, sappiamo bene, non si sottrarrà ma affronterà il male più grande rimanendo profondamente consegnato al Padre secondo il desiderio di comunione e di legame con l’umanità intera. Il male potrebbe confondere ed identificare il peccatore con il peccato ed è perciò che per rimanere in relazione è importante mantenere lo sguardo rivolto al Cielo.
Il discepoli sono chiamati a vivere questo passaggio e ad abbandonare la mentalità calcolatrice che li farebbe sperimentare impotenti rispetto ai mali di questo mondo. Il cristiano è chiamato a non dubitare della vittoria di Dio su ogni ingiustizia andando aldilà delle apparenze. Non si tratta, dunque, di calcolare quello che si ha ma di aprire il cuore alla condivisione con il Cielo per divenire strumenti di bene. Altrimenti non avrebbe senso il consumarsi di molti che sono arrivati perfino al martirio per amore nonostante il progredire del male che li circondava, ad esempio, pensiamo a Piersanti Mattarella, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Pino Puglisi e una moltitudine di testimoni della nostra terra di Sicilia.
Gesù ha un’altra lettura della storia e dona se stesso per rivelarla. Li fa sdraiare così come per la Pasqua l’israelita si sdraiava perchè libero e, perciò, servito dallo schiavo. Lui libererà da ogni schiavitù e per fare ciò si farà servo fino a dare il suo corpo in cibo. Ora mostra quale atteggiamento è davvero liberante per ciascuno: prende il cibo che gli offrono fidandosi, rende grazie al Padre e poi invita a condividerlo. I discepoli, dunque, sono portati ad entrare in questa dinamica di accoglienza, rendimento di grazie e condivisione che si oppone alla logica del banchetto dei potenti.
Il prendere qualcosa può divenire movimento di appropriazione e ciò può avvenire anche nei rapporti umani come, ad esempio, quando si prende lo sposo o la sposa quale oggetto di conquista e non lo si accoglie quale dono. Le ferite nelle relazioni sono dovute alla pretesa di possesso e lo stesso vale nel rapporto con il pianeta in cui viviamo. La Terra è ferita perchè l’individuo brama nutrire solo se stesso dimenticando di essere custode dell’altro e, pure, delle generazioni future.
Oggi la chiesa celebra la festa francescana del Perdono. Francesco d’Assisi desiderò “mandare tutti in Paradiso”, è il sentire proprio della compassione e cioè di chi nutre la relazione con il Cielo e vede oltre i piccoli alterchi di questo mondo. Quante storie sciupate in piccole beghe quando, invece, è una sola la battaglia che conta nella vita. I discepoli impareranno a dare loro stessi da mangiare, si consumeranno per amore e sul loro sangue si reggerà la Chiesa sparsa nel mondo, la Comunità dei credenti chiamati a testimoniare la Luce per la quale ha senso vivere.