L’uomo contemporaneo pare cercare il quieto vivere ossia un modo per sostenere lo scorrere del tempo in stato di relax e in una sorta di pacificazione emotiva. È il tipico effetto ipnotico che cattura per ore grandi e piccini davanti a una playstation o un monitor in cui scorrono immagini e sonori.
La stasi dovrebbe portare, secondo tale prospettiva, ad un equilibrio interiore attraverso l’isolamento dall’altro e dalle questioni esistenziali dell’umanità che, altrimenti, risulterebbero eccessivamente perturbative! Sappiamo bene, però, che se da un lato l’isolamento protegge da continue sollecitazioni, dall’altro chiede un conto alto e cioè la perdita dei legami comunitari e dell’autentica espressione della propria esistenza.
Il protagonista del “Circo della farfalla”, corto del regista Joshua Weigel, dapprima accetta di essere considerato un fenomeno da baraccone a prezzo della derisione e della rabbia interiore pur di avere assicurato un ruolo e la possibilità di sopravvivenza, ma dopo che sarà riconosciuto dal direttore del Circo, che lo riterrà “stupendo” andando al di là delle apparenze, inizierà un movimento interiore che, successivamente, lo porterà a trovare il suo posto in un nuovo Circo, quello della farfalla, in cui potrà prendere il volo esprimento la bellezza fino ad allora celata.
Per evolversi, dunque, bisogna perdere l’equilibrio di prima ed aprirsi ad una storia inedita, ciò rende fecondi e capaci di dono. Tale rischio richiede flessibilità e capacità di comunione ossia di compartecipazione ai processi evolutivi. È il caso di chi coltiva un sogno di vita senza accontentarsi del compromesso che garantirebbe un posto malpagato e schiavizzante. O il senso che dà un educatore di strada al suo sostare con i ragazzi stigmatizzati come “antisociali”, cercando in loro un tratto umano da condividere e promuovere. È, ancora, quel che porta un datore di lavoro ad uscire dal piedistallo e creare compartecipazione con i suoi dipendenti fino a progettare con loro la crescita dell’azienda.
Perdere l’equilibrio equivale a non lasciarsi dominare dalla paura, quella paralizzante che svaluta ogni tentativo di cammino, e che fa trincerare su posizioni e barriere difensive in cui ciascuno pretende di affermare la sua forza. Sbilanciarsi significa apparire deboli, bisognosi dell’altro, alla ricerca della meta della propria esistenza.
È cosa ben diversa dalla corsa frenetica volta a divorare per impossessarsi della vita. Quello è un rimanere fermi, un girare a vuoto senza mai appagamento. Tale forza, infatti, rimanda a staticità, al “posto fisso” e cioè a fare della propria esistenza un calcolo da garantire e da valutare in termini di produttività ed efficienza. La staticità della persona anziana che compra costosi cosmetici per apparire senza rughe e darsi una parvenza di lunga vita, seppure l’elisir di lunga vita non ci è mai stato dato.
C’è un inganno, dunque, rintracciabile nella promessa genesiaca “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio” (Gn 3, 4-5), parafrasabile con “Se non potete avere tutto allora non siete niente!”.
Questo assioma fa dell’essere umano un cercatore di totalità pretendendo di poterla possedere. È l’inganno della tecnica che spinge a prestazioni sempre più elevate e che fanno perdere il senso del tempo e dello spazio, il senso del limite. La persona, così convinta, inizia il suo avvitamento vorticoso in cui la vita diventa una dimostrazione di forza e di grandezza.
Il cammino dell’uomo a cui facciamo riferimento parte dal riconoscere la debolezza dell’uomo, la precarietà dell’esistere segnata dalla morte così come bene esprime l’immagine della crisalide in cui il bruco deve prima racchiudersi in un bozzolo prima di trasformarsi in farfalla.
La vita, quando è vero cammino, allora comporta delle perdite per spingersi oltre, per scoprire quel che sta più in là.
Simile atteggiamento ci rende capaci di accogliere e, al contempo, di perdere qualcosa di noi stessi rimanendo aperti al quotidiano. Chi si crede pieno di sé e autosufficiente sarà impermeabile a questo mondo, chi si riconosce debole e bisognoso dell’altro farà della sua esistenza una continua scoperta. Quando la vita ci destabilizza, direi, possiamo stare certi che stiamo camminando.