Pensare che la nostra esistenza sia in balìa degli eventi più o meno favorevoli, o dei colpi di fortuna capaci di realizzare sogni fino a poco prima impossibili, equivale a pensarsi dipendenti dagli accadimenti e cioè incapaci di una direzione perché sottomessi a quel che accade attorno. Molti, infatti, secondo questa prospettiva vivono continue oscillazioni umorali a seconda dei riconoscimenti ottenuti.
La narrazione evangelica scardina questo modo di vedere l’esperienza umana rivelando una via nuova che abbisogna della concretezza di ogni giorno, proprio perché a ciascuno è dato di decidere come rispondere alle provocazioni quotidiane. Non serve ripiegarsi su continui “perché” alla ricerca di ragioni per giustificare gli eventi avversi o le occasioni mancate, e neppure organizzarsi secondo una logica di rivendicazione verso gli altri considerati come la causa della propria infelicità. Piuttosto abbiamo bisogno di ritornare all’ascolto ed accogliere la Parola che permette di illuminare la storia personale rimanendo autori di una narrazione inedita.
Il punto centrale è ammettere che siamo protagonisti e non i registi del cammino che volge verso la meta. A ciascuno è dato di riconoscere e rispettare i propri limiti e, così, attraversare le crisi. Ciò non significa vivere in continua belligeranza ma fare della precarietà l’opportunità del cammino mantenendo la ricerca ed il gusto per quello che ancora non è.
Il credente custodisce la promessa di un futuro giusto, di un mondo fraterno dove si vive la pace tra i popoli, la promessa della comunione che unisce il Cielo e la terra. È questo amore a nutrire la nostalgia che abbiamo nel cuore, non quella che fa ripiegare sul passato ma che slancia verso un domani da creare e quindi generare attraverso il proprio mettersi in gioco.
Il primato dato alla comunione, da non fraintendersi con il conciliante “buonismo”, diventa il criterio per la conoscenza delle cose. Altrimenti accadrebbe quello che puntualmente si verifica nel confronto politico dei nostri giorni e cioè si dibatte e litiga perché si mantiene una conoscenza parziale delle cose e ciascuno esaspera i suoi punti di vista, amplificando quel che è solo un segmento, al fine da averla vinta sull’interlocutore da sottomettere. Ma la politica non dovrebbe avere come unico criterio il bene dei cittadini? E la finanza non dovrebbe servire le scelte politiche volte alla crescita di tutta la collettività? Fino a quando si riproporrà la lettura secondo i vinti e i vincitori, gli oppressori e i sottomessi, i ricchi e i poveri, non potrà esserci alcuna comprensione del Natale, magari sarà solo assunto in modo ideologico per farsi “giusti” attraverso le buone azioni del momento!
Essere testimoni di Resistenza così come di Resilienza è possibile nella misura in cui si approfondisce il dono ricevuto, scoprirsi figli del Padre, mettendo del proprio e quindi facendo la propria parte anche se con fatica o apparente insuccesso.
È quello che abbiamo sperimentato in questi giorni quando abbiamo appreso che dopo diciotto anni dalla chiusura, l’Asilo nido “Galante” nel cuore di piazza Danisinni a breve sarà ristrutturato restituendo, pertanto, il diritto al futuro per i nostri bambini.
Aldilà della decisione politica di abbattere il presidio pubblico del rione, la Comunità do Danisinni ha continuato a sperare e insieme al Centro Tau, coinvolgendo la Comunità Educante Territoriale, si è riusciti ad ottenere questa significativa risposta che ancora una volta ci rivela come l’impossibile può diventare possibile se si continua a camminare sotto la luce del Cielo che va oltre ogni apparenza. È così anche dell’educare, arte di cui siamo tutti responsabili, tornano in mente le parole del cardinale Martini: Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto”.