Ripartire da una inversione di prospettiva è l’intuizione che regola i processi di rigenerazione urbana ai nostri giorni. Da tempo, infatti, ci si è resi conto che il processo produttivo basato sull’economia tradizionale, impoverisce chi vi sta dentro spegnendo i rapporti umani e la spinta creativa e, aspetto ulteriormente grave, compromettendo l’ambiente in cui si vive. Si pensi, inoltre, alla dispersione delle risorse in quanto, con tale sistema, il benessere comunitario non è più al centro e, piuttosto, vengono amplificate le disuguaglianze sociali. Tale configurazione a lungo termine porterà all’impasse del mercato rischiando di bloccare il processo di crescita dell’intero Paese.
Quando in una Città si creano sacche di povertà ad alta marginalità sociale, ci rendiamo conto, qualcosa non sta funzionando ed è un crimine continuare a pensare che lo “scarto” sia il prezzo da pagare affinchè tutto il sistema possa manternersi.
Il Sistema sociale (welfare) che voleva garantire a tutti i cittadini pari fruizione dei servizi sociali indispensabili, dunque, versa in una crisi che abbisogna di profonda revisione ripartendo dal valore della Comunità. La concezione residuale che vedeva lo Stato distribuire la produzione del mercato ai vari ambiti della società civile, di fatto, ha favorito la passivizzazione e l’impoverimento dei territori anche perchè le organizzazioni non profit venivano colte come funzionali ad erogare servizi a seconda delle richieste della pubblica amministrazione e non quali interlocutori da cui apprendere una visione funzionale alla progettazione.
Oggi è quantomai necessario aprirsi ad una prospettiva che riconosca nel privato sociale il nodo basilare per rinsaldare o ricreare Comunità. Ciò comporta ripensare il Sistema sociale quale fattore di sviluppo e cioè capace di promuovere investimento.
Nello specifico parlare in termini di welfare comunitario significa aprirsi ai diversi attori sociali oltre lo Stato e, quindi, riconsiderare il terzo settore, le famiglie così come le parrocchie o altre realtà locali, integrando programmi innovativi di intervento in cui la relazione e la prossimità costituiscono la risorsa principale.
La Comunità, infatti, è la forza dell’economia e, ancora prima, è la forza dell’umano. Senza relazioni di prossimità non si genera fiducia e senza fiducia vengono meno gli investimenti e le risorse finiscono col non essere utilizzate.
Una delle proposte più significative del nostro tempo è la Fondazione di Comunità, uno strumento capace di custodire rapporti umani e, attraverso questi, condivisione di risorse per rispondere ai bisogni reali di un territorio attraverso l’ascolto diretto. Ad esempio la Comunità di Danisinni respira le priorità su cui investire senza bisogno di complesse analisi. La riapertura della scuola d’infanzia, attraverso la quale i più piccoli troverebbero le basi per poi inserirsi all’interno della scuola primaria, è di fondamentale importanza per prevenire il puntuale insuccesso ed abbandono scolastico con ricadute facilmente prevedibili. Lo stesso dicasi per il rifacimento del marciapiede in via Danisinni o il miglioramento della scala che porta alla parte alta del Rione. Sono tutte istanze che epidermicamente sono espresse dalla quotidianità di quanti abitano il territorio e che abbisognano di uscire dalla condizione di stallo che, negli anni, ha portato ad un sempre maggiore isolamento.
In questa opera di raccordo, dunque, è vitale la vicinanza con il territorio e le diverse agenzie che ivi operano, in tal modo la lettura dei bisogni e della domanda locale è diretta e la risposta dei servizi può essere modulata con una maggiore flessibilità a seconda delle diverse circostanze. Quando un territorio viene sostenuto da varie Organizzazioni per la creazione di una Fondazione di Comunità gli investimenti non saranno meramente “a fondo perduto” ma finalizzati a creare benessere sociale e promuovere la fattiva crescita del luogo. Creando un capitale sociale, infatti, la Fondazione favorisce il raccordo e l’interscambio tra le varie realtà locali, fa da garante delle credenziali sociali di ogni singolo membro della rete e ne rinsalda l’identità facendolo partecipe delle prospettiva dell’intera Comunità.
La Fondazione di Comunità è un tassello prezioso del processo di rigenerazione urbana che significa pure creare micro-economia locale attraverso piccoli esercizi commerciali. Ad esempio luoghi di ristoro e di confronto culturale, non certo mega centri commerciali in cui l’anomimato è garantito ma spazi per condividere saperi e potenzialità, istanze di profondità e valori che reggono l’esistenza umana.
Nel tempo della delocalizzazione in cui i processi produttivi vengono spostati ed assemblati in paesi più competitivi riteniamo, piuttosto, che la localizzazione sia indispensabile per restituire dignità e storia ai prodotti, in quanto alle spalle di ogni fatturato ci sono persone ben precise e questi volti danno peso e valore specifico a quel che viene immesso nel mercato. Il criterio di qualità, dunque, non caratterizzato dalla performance estetica ma dalla vita delle persone.
Uscire dall’individualismo è la grande sfida del nostro tempo e, ci rendiamo conto, è necessaria la funzione di organismi comunitari che possano assumere il ruolo di coordinamento ed integrazione dei vari interventi e delle risorse, oltre che di promozione e capitalizzazione delle potenzialità ancora inespresse secondo una prospettiva di sussidiarietà orizzontale, favorendo il decentramento finanziario.
Osiamo aspirare a nuovi giorni in cui smettiamo di programmare rimanendo schiacciati su un piano di emergenza e impariamo a condividere l’esistenza facendoci prossimi e ritenendo che ciascuno è prezioso per l’altro. Ora è bene inteso che il bene prezioso per ogni creatura non sta nell’economia, questa è solo strumentale, piuttosto ciascuno è chiamato a volgersi verso il Cielo e lì accogliere la Luce che può dare vero valore ai propri giorni e, così, trovare gioia nel condividere il cammino con l’umanità intera. È terribile trovare uomini che cercano, con forme deliranti di onnipotenza, di crearsi la luce con le proprie mani o, ancora, di essere luce per gli altri. La meta, sappiamo bene, sta da un’altra parte.