Era una domenica come oggi quella di ventotto anni fa quando una 126 carica di tritolo esplose in via d’Amelio stroncando la vita del giudice Paolo Borsellino e degli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. Un vile attentato per mano mafiosa che volle avere la pretesa di fermare l’azione di uomini onesti che stavano vivendo senza compromessi la loro missione.
In realtà, sappiamo tutti, che l’azione di bene non può fermarsi malgrado gli attentati e le continue ostilità perchè l’umano appartiene al Cielo e per quanto molti possano cadere nelle trame del male fino a lasciarsi schiavizzare, possiamo trovare pienezza di vita solo quando ci lasciamo conquistare dalla causa del bene e dunque della giustizia, della solidarietà e della condivisione con gli altri. Diversamente, l’esistenza di chi sceglie la corruzione o la criminalità è destinata a consumare i propri giorni nel vuoto e nella tristezza più grande.
La vita di questi testimoni di giustizia non è andata perduta, ha portato frutto in una generazione e rimarrà esempio nella storia della nostra martoriata terra di Sicilia. Loro, insieme a tanti altri, ci ricordano quanto sia importante recuperare la capacità di stare nel tempo e, dunque, di attendere per portare frutto.
Il tempo scorre e per questo ci mantiene umani ossia capaci di vivere ogni cosa secondo la sua stagione, sostenendo il carico dell’ostilità o dell’incomprensione altrui. Questo linguaggio non è immediatamente comprensibile ai nostri giorni perchè molti cercano di fermare il tempo in una sorta di eterna adolescenza, altri improvvisamente regrediscono mandando all’aria la storia e i legami costruiti nel tempo, altri ancora cadono in uno stato depressivo non accettando la caducità della loro storia. Eppure il quotidiano ci permette di gustare il sapore dei giorni e se tutto rimanesse cristallizzato in un eterno presente l’esistenza perderebbe colore ed emozione. Noi, piuttosto, non facciamo memoria nostalgica di quegli uomini che ci hanno lasciato nel ’92, noi facciamo memoria attuativa e li sentiamo vicini perchè oggi chiedono la nostra risposta nel resistere ai compromessi e difendere il Bene con tutta la nostra vita.
In questa domenica le parabole del buon grano e della zizzania, del granello di senape e del lievito (Mt 13, 24 – 43), ci aiutano a comprendere meglio. Esse rivelano un crescendo che mostra il senso dell’attesa e del camminare verso la meta. Una progressione nella comunione che si oppone all’individualismo che vorrebbe privare di umanità lo scorrere dei giorni. È necessario, piuttosto, imparare ad affrontare il combattimento spirituale per custodire il dono della vita e la missione di cui ciascuno è depositario.
Il pool antimafia allora portò ad una efficacia straordinaria in quanto fece uscire dall’individualismo personale creando scambio di conoscenze e competenze tanto da arrivare all’efficacia del maxiprocesso di Palermo.
La parabola rivela come fronteggiare le avversità. Si parte sempre dalla lotta interiore: dopo la semina del buon grano da parte di Dio c’è la semina della zizzania ad opera del nemico, colui che vorrebbe dividere interiormente e socialmente le persone. I rapporti di inimicizia sono frutto di una voce, capace di suggestionare pensieri e sentimenti, a cui si dà spazio.
Il Tentatore divide dentro, insinua il dubbio sul fidarsi o meno di Dio e del prossimo. I discepoli iniziano a questionare Gesù sul perchè della zizzania, quando ci si ferma ai “perchè” ci si inoltra in uno sguardo cieco, capace di dimorare per tutta la vita in domande senza soluzione. Diventa una strutturazione del tempo che, man mano, fa trincerare dietro posizioni difensive, razionalizzazioni e stalli esistenziali che impediscono di muovere un passo.
È così che viene meno la maturazione umana e gli orizzonti si impoveriscono nutrendo un pensiero triste. Alcuni ripiegano in forme giustizialiste proprie di chi vorrebbe estirpare la zizzania per senso del dovere ma senza discernere come custodire il buon grano. Da queste posture scaturisce la rigidità spirituale propria di chi si sente giusto di fronte agli altri, derive religiose che conducono al fanatismo e a forme di prevaricazione.
Gesù invita i suoi discepoli ad attendere e a lasciare maturare le spighe di grano che, a quel punto, riveleranno la loro pienezza e bellezza rispetto alla vuota zizzania priva di colore e di frutto.
Dall’attesa scaturisce anche la fortezza propria di chi non esalta se stesso ma rimane fiducioso nel dono ricevuto. Il granello di senape è il più piccolo tra tutti, è nascosto secondo la logica del mondo e perciò non gode di alcuna ammirazione eppure, nella sua maturazione, diverrà una grande pianta. Ancora più nascosto appare il lievito che di fatto non lascerà alcuna traccia ma porterà a compimento il dono del pane.
Tre immagini che rivelano il senso dei giorni, il resistere aldilà della zizzania sempre presente e che vorrebbe dominare con la sua apparenza, lo stare nel quotidiano custodendo il granello di senape il quale porta con sé una grande promessa, l’accogliere il lievito che fa dell’esistenza personale una vita fermentata e pronta per il dono al di là del riconoscimento altrui.
La nostra terra, Palermo, abbisogna di scelte, di un cambiamento di rotta ma a principio è necessario chiarire per quale causa ci si vuole spendere e, certo, non è possibile partire dalla apparenze!