Abbiamo bisogno di testimoni e, in questi giorni, la dipartita di fratel Biagio Conte ci sta ricordando quanto preziosa è l’eredità che lascia un autentico testimone. La paternità colma di testimonianza non lascia orfani perché trasmette la passione e la gioia per l’esistenza che non lega a sé ma rimanda oltre, avanti, come a provocare una ulteriore testimonianza da parte di ciascuno.
Il testimone traccia una strada, mostra un orizzonte di senso coniugando legge e desiderio perché, per camminare, è necessario rinunciare a tutte le altre vie possibili e, magari, anche alle scorciatoie che apparentemente potrebbero sembrare più convenienti.
Se guardiamo a fratel Biagio come ad un testimone è perché lui si è saputo consumare per amore dell’umanità più ferita della nostra Palermo. Ha rivelato, così, come si vive parlando di un altro e cioè rimandando a colui che dà senso a tutte le cose.
Il testimone non vive per se stesso ma si fa pane spezzato perché la Parola che accoglie diventa “fare” per l’altro e, in questo modo, realizza il disegno di Dio. La testimonianza è feconda, rende ricca l’umanità che incontra contagiandola di desiderio del Cielo.
La risonanza che attraversa la nostra Città da quando è giunta la notizia della dipartita del missionario francescano coinvolge tutti e questo è molto bello ma la fecondità di cui si parla consiste nel lasciarsi provocare fino a decidere di fare, ciascuno, la propria parte.
Il Vangelo di questa domenica, a tal proposito, descrive la scena dell’incontro del Battista con Gesù. Lo indica come l’ “agnello di Dio” e cioè chi si fa carico dei mali altrui offrendosi al suo posto, così come lo intendeva Israele. Per Israele, inoltre, l’agnello pasquale ricorda come il suo sangue salva custodendo la vita dei credenti e la sua carne procura il nutrimento necessario per affrontare il cammino.
Nella cornice del Giordano, dunque, dove le folle andavano per lasciarsi purificare, ora, viene indicato un uomo che guarirà da ogni bruttura restituendo bellezza all’umanità ferita.
Il fatto che si tratti dell’agnello “di Dio” lascia intendere che sta accadendo qualcosa di inedito perché non è più il popolo ad offrire qualcosa in espiazione ma è Dio a consegnare la Sua offerta per sanare la relazione con l’umanità tutta.
Sarà rivelato, subito dopo, che la consegna è proprio del Figlio e che, dunque, l’inimicizia viene sanata attraverso il Suo ingresso nella storia e la conseguente offerta del legame più caro al Padre.
L’agnello “prende su di sé il peccato”, non si tratta di togliere qualcosa come se si pulisse una superficie rimanendo estranei ma di sostenere il carico altrui. Non si parla neppure di “peccati” ma, al singolare, del male che determina la fine del rapporto filiale e quindi la morte.
Se questa rimanesse l’ultima parola, l’epilogo della storia di ogni essere umano, non ci sarebbe più spazio per la rivelazione dell’amore del Padre. Lui, piuttosto, lotta affinché nessuno si perda e l’Agnello prende su di sé il carico esistenziale della fragilità umana restituendo lo Spirito Santo, la vita stessa di Dio colmata dall’amore.
La gloria del Padre è rivelata in terra, nel Figlio e in quanti lo seguiranno accogliendolo. Non si cela più la presenza di Dio ma si assiste ad un incontro inedito, una nuova possibilità di accesso frutto non della elevazione ascetica per arrivare al Cielo ma del riconoscersi piccoli lasciandosi incontrare dal chinarsi di Dio.
Giovanni Battista non parla di sé ma indica un altro, è testimone del Messia che viene a liberare, è l’amico che con la sua presenza rivela l’attesa dello sposo in arrivo. Testimonia chi esce dalla logica della competizione e vive per generare comunione ed essere ponte tra il Cielo e la terra.
Oggi, nel volto di molti “ultimi” della città di Palermo, riconosciamo le lacrime e la gratitudine per il prezioso dono del Cielo, loro da Biagio si sono sentiti cercati e accolti e, per questo, amati. Sanno che lui ha versato il suo sangue, cioè ha consumato la sua vita, per loro.