Forza e debolezza, onnipotenza e limite, ideale e realtà, caratterizzano la passione del vivere ma per molti costituiscono estremi inconciliabili e, pertanto, motivo di solitudine e frustrazione.
L’essere umano, di fatto, si confonde quando pensa di definire la sua forza attraverso l’immobilità difensiva o l’affermazione di sé e, piuttosto, trova rinnovato slancio quando scopre che nella debolezza c’è la possibilità di un’accoglienza inedita, una leggerezza che permette di attraversare i mari senza timore. È la fiducia propria della fede, l’esperienza di chi non vive per trattenere ma persevera nella ricerca sapendo di essere chiamato ad “andare oltre”.
Custodisce il viaggio della vita chi ne rispetta il limite, così come quando un fiume apre la sua nuova strada a seconda degli impedimenti che trova lungo il cammino.
La questione del limite ci interpella tutti e la Scrittura rivela una luce inedita per fronteggiarla. Giobbe si trova dinanzi alla precarietà ed imprevedibilità dei giorni e, ciononostante, deve giustificarsi di fronte agli amici che gli imputano qualche colpa a motivo della condizione di sofferenza che vive. Si cela, in questa interpretazione, un pensiero lineare della vita e quindi l’illusione di potere calcolare e controllare ogni cosa come se lo spendersi per la causa del bene, automaticamente, dovesse procurare una piacevole zona di comfort!
Eppure l’esperienza del dolore ricorda a ciascuno che l’onnipotenza è una chimera e, invece, la fragilità è la condizione propria del genere umano. Come, dunque, mettere insieme la fiducia nel bene e le prove del quotidiano? E, come riuscire a conciliare la spinta al riscatto senza lasciarsi sopraffare dalla propria caducità?
La Bibbia indica la Via maestra, l’unica a portarci oltre nel cammino della vita. Chiarisce che nessuna alchimia, pozione magica o dottrina per iniziati, potrà mai superare il limite ma solo l’amore evangelico che è capace di fare attraversare ogni ostacolo e, perfino, la morte quando si mantiene la fede nel Cielo. È Dio, infatti, a rispondere a Giobbe nel mentre che vive disorientato per quello che gli succede e gli ricorda il limite che ha posto al creato per prendersi cura dell’uomo: «Chi ha chiuso tra due porte il mare… gli ho fissato un limite, gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?» (Gb 38, 11).
Questa esperienza, però, rimane possibile quando ci si affida al Signore ed è quello che viene presentato nella pagina del Vangelo di questa domenica (Mc 4, 35 – 41) in cui troviamo l’invito del Maestro a passare all’altra riva e, al contempo, la pretesa dei discepoli di prendere con sé Gesù come se fosse un peso morto e cioè qualcuno da assoggettare alle proprie affermazioni.
Gesù si lascia prendere e riposa sul cuscino della barca al pari del cuscino della bara (viene usato lo stesso termine) come a rivelare che la superbia umana lo porterà finanche nella morte ma, entrando in essa, Lui ne uscirà vincitore.
Il delirio dell’uomo, infatti, vorrebbe possedere Dio fino a decretarne la crocifissione ma Lui entra nella storia accogliendo simile pretesa e, quindi, manifesta che l’amore trascende ogni limite e riesce a trasformare perfino il cieco peccato dell’individuo.
La tempesta, emblema di ogni malvagità, viene sedata e il male è cacciato e ridotto al silenzio ed è allora che il Maestro chiede il perché loro hanno ancora paura e non fede.
Continua a nutrire la paura chi vive da individuo e, quindi, separato da Dio perché crede che la propria esistenza si fondi sulla forza; si apre alla fede chi fa della debolezza l’occasione per accogliere il Signore e lascarsi condurre attraversando la precarietà della vita.