Parlare connettendosi con la profondità del cuore è un’arte difficile ma essenziale per solcare il cammino della vita in modo inedito. Non si tratta dell’ascolto emotivo che fa del quotidiano un’occasionalità priva di direzione ma della resistenza di chi porta sino in fondo la causa per cui vive pagandone le conseguenze.
Non si connette chi rimane legato ad un piano formale e compiacente e, infatti, si orienta a seconda delle mode di turno ricercando un riconoscimento gratificante. È quello che accade a chi si sente giusto e santo in questo mondo.
Non si connette, inoltre, chi ha come unico criterio per orientarsi il principio del piacere, il “mi sento” che fa scadere in una altalena di agiti ora euforici e poco dopo depressivi. Il risultato è una terribile frammentazione interiore che priva di continuità storica e progettualità.
In questi casi, infatti, si riscontra una mancanza di visione e una povertà di vita interiore che, alla fine, lascia prigionieri di un vuoto insanabile.
È priva di connessione, ancora, una società che impone scelte formali di convenienza per pochi procurando sofferenza e disperazione a molti. Pensiamo, ad esempio, all’attuale normativa sanzionatoria che vorrebbe impedire il soccorso dei naufraghi o, comunque, la punizione detentiva a chi è già stremato per un lungo viaggio mosso dallo spirito di sopravvivenza.
Si connettono i pescatori che nel canale di Sicilia ascoltano le grida dei profughi e si attivano per cercarli e soccorrerli nel buio della notte anche se non hanno ricevuto il permesso dall’autorità marittima che, nel mentre, continua a discutere sulla Nazione a cui spetti la competenza d’intervento.
Sappiamo come alcuni di loro sono stati arrestati con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ma la connessione del cuore è una questione di umanità e di giustizia che supera ciò che è lecito.
Ascoltare, infatti, può significare disobbedire alle voci dell’interesse individualistico o alla soddisfazione edonistica per assumersi la responsabilità dell’altro. La fraternità umana non è un principio teorico, l’ascolto dell’altro comporta un uscire da se stessi facendo spazio dentro di sé. Questo atteggiamento permette la relazione autentica e la capacità di dono gratuito anche per l’ “estraneo”.
Il Vangelo chiede questo tipo di connessione e la pagina di questa domenica (Mt 21, 28 – 32) esplicita come la parola abbisogna della vita per essere credibile. Siamo troppo abituati a parole che si rivelano promesse infondate e questo ferisce la fiducia della gente e quando sono pronunciate dai politici portano all’abbandono dell’interesse verso la vita pubblica.
Simile corruzione è la più grave colpa di chi governa un Paese tradendo l’attesa prospettata. Quando la politica si trasforma in pratica demagogica per lusingare le aspirazioni della gente ecco che si trasforma in potere ideologico volto a sottomettere senza possibilità di dialogo e di riflessione. In quel caso le parole sono anche capaci di trasformare il senso delle cose e, ad esempio, fare apparire reato la mobilità umana che, di fatto, è diritto di cittadinanza, diritto di sopravvivenza, diritto di sperare e sognare un futuro possibile.
L’ascolto, dunque, impedisce di promuovere identità a partire dalla uniformità e cioè di unirsi per la paura di un nemico comune come accade quando l’ideologia totalitaria strumentalizza la coscienza del popolo.
Francesco d’Assisi inizialmente cerca di uniformarsi ai potenti identificandosi con i maggiori della società del tempo e, così, dare valore ed identità alla propria esistenza. Lui, successivamente, maturerà un sogno che lo porterà ad unirsi ad altri fratelli e non per paura dell’altro ma perché scopre che l’incontro con il lebbroso, precedentemente percepito come nemico, diventa luogo di dolcezza d’animo e di corpo. La carne, dunque, gli aveva rivelato la verità dell’umano che è l’amore!
La parola che genera fiducia, allora, ci rende responsabili dell’altro, custodi capaci di cura. È questa l’azione operata da Gesù il quale, per la fiducia che rivela facendosi prossimo, permette ai pubblicani e alle prostitute di avvicinarsi per consegnare tutto intuendo la sua misericordia.
Ne consegue il giudizio di scribi e farisei che non tollerano la Sua autorità dettata da gesti che coniugano l’ascolto del Padre e dei piccoli del tempo. Chi ascolta Dio non può fare tacere la voce degli ultimi, anzi, la voce del Cielo si mescola al grido dei disperati di questo mondo. Lo stesso grido a cui i pescatori siciliani non possono resistere e che, a volte, li porta a trasgredire la norma sanzionatoria.
La parabola del padre che chiede ai figli di andare a lavorare nella sua vigna esplicita la responsabilità personale. Il primo figlio si rifiuta e questo, innanzitutto, è segno di libertà ossia di una relazione in cui è possibile manifestare il “no”. Abbiamo dato una connotazione negativa al rifiuto ma in realtà per questo figlio diventa l’opportunità per ascoltarsi e dare spazio alla relazione che lo rende figlio, al pari della parabola del figlio prodigo che nella solitudine della distanza sperimenta il pentimento ed il bisogno di tornare al Padre. Il viaggio da sé all’altro passa sempre per un pentimento ossia per la scoperta che nell’individualismo la vita manca al suo centro che si trova sempre nell’altro e mai in se stessi. Il termine, inoltre, traduce una commozione interiore come ad intercettare una voce che dona consolazione ritrovando lo sguardo del Padre.
L’ideologia contemporanea non ammette “pentimento” perché, pretestuosamente, lo lega ad un aspetto moralistico. Piuttosto si tratta di apertura del cuore perché l’individuo si scopre umano quando ammette di essere figlio e non principio di se stesso.
Il secondo figlio compiacente, al contrario, si sottrae alla responsabilità del compito e si rintana su un piano formale di apparente buonismo. Anche il rischio di simile tiepidezza sovrasta i nostri giorni segnati dall’indifferenza per la realtà circostante. La cura abbisogna di impegno quotidiano così come è richiesto ai genitori per la crescita di un figlio ma se ci si ferma ad un piano compiacente non ci sarà alcuna relazione di cura, se l’ascolto dell’altro è funzionale a soddisfare i propri bisogni non ci sarà spazio per i legami.
È sintomatico, a riguardo, che la pubblicità di Esselunga abbia suscitato tanta polemica quale propaganda antidivorzista. In realtà rivela lo sguardo di una bambina che a modo suo vorrebbe esprimere il senso della cura e più che una condanna colpevolizzante mostra il suo modo di esprimere l’affetto per entrambi.
La chiusura del racconto evangelico è lapidaria: “pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Come a denunciare la logica dei “giusti” di ogni tempo!