Ai nostri giorni facciamo una grande fatica a parlare di gratuità, la società dei consumi ha eluso questo termine perché metterebbe in crisi la logica del pagare per avere. Dare un prezzo ad ogni cosa, e quindi regolare i rapporti umani in base al dovuto e ai possessi, mette in crisi l’umana convivenza e spegne le relazioni perché le priva dell’amore.
Eppure non c’è amore senza gratuità così come non può sussistere la fede senza la gratuità. Cambiare i parametri per leggere la propria storia e quella della realtà che ci circonda, dunque, è l’arte della fede.
Ogni cristiano fin da subito è introdotto in un’esperienza nuova che è caratterizzata dalla capacità di perdono e il perdonare rivela la gratuità, senza alcuna rivendicazione, e ciò è possibile solo a chi ha compreso di essere profondamente amato dal Cielo.
Nella pagina del Vangelo (Lc 17, 5 – 10) di questa domenica i discepoli si sentono spiazzati dalle parole del Maestro, credono che l’impresa sia ardita e pertanto chiedono di potere accrescere la loro fede.
La grandezza della fede, di fatto, non dipende dalle prove che Dio riesce a dare e cioè dalla straordinarietà del Suo agire ma dipende dalla consegna totale a Lui ammettendo la propria povertà.
Fino a quando l’individuo continuerà a nutrire il proprio ego in modo autoreferenziale vedrà nella fede un’esperienza di forza volta a garantire se stesso, un calcolo di convenienza privo di fiducia nel Cielo.
Quello che Gesù chiede ai suoi discepoli, piuttosto, è l’umiltà di un granello di senape, invisibile agli occhi ma capace di sradicare un gelso e cioè un arbusto che, altrimenti, con grande difficoltà potrebbe essere sradicato.
La fede si fonda su questa profonda relazione che non abbisogna di visibilità ma di fiducia nell’amore e accogliere l’agire di Dio nella propria esistenza procura questa azione dirompente e trasformante.
Non si tratta, allora, di attendere una ricompensa, riconoscersi “servi inutili” equivale a non aspettarsi una paga e ciò perché il dono precede il servire e quello che si è ricevuto è molto di più di una merce di scambio: è la vita stessa di Dio.
Questa è l’esperienza di fede che lega al Cielo e così facendo libera da ogni schiavitù o dipendenza terrena. La misericordia, infatti, è dono gratuito e chi ne ha fatto esperienza non trattiene o lega a sé gli altri ma solo ne desidera il bene. È per questo che la giustizia di Dio non si traduce nel condannare le colpe ma nel perdonarle affinché il peccatore possa pentirsi e ritrovare la via per accogliere l’amore che gli viene donato.
La fede, pertanto, diventa processo di contaminazione, di incontro e di prossimità per sostenere e accompagnare il cammino altrui. È l’ulteriore provocazione che nelle ultime due settimane ci arriva, in modo eloquente, dall’Iran dopo l’uccisione della ventiduenne Masha Amini la quale è stata trucemente uccisa a Teheran dalla “polizia della morale” perché non si era coperta adeguatamente con il velo.
Centinaia di donne hanno già pagato con la vita il sopruso di una dittatura che non lascia spazio al dialogo e alla libera espressione, in particolare, delle donne.
La fede oltre ad aprire all’ascolto della Parola da cui muove ogni passo, è anche cassa di risonanza del grido dei piccoli che attendono la risposta del Cielo attraverso la testimonianza e l’interesse dei credenti. La fede, allora, si rivela nell’amore.