La cultura dell’apparenza vorrebbe manipolare le scelte e le sensibilità personali secondo un criterio di profitto legato ad un consumismo che lascia poco spazio alla libertà individuale. Omologare i gusti secondo la logica dei mercati sembra essere una trama assai diffusa ai nostri giorni ma tutto questo spegne l’anelito e la battaglia per la vita vera.
La causa per la quale ci spendiamo rivela chi siamo. Il cammino personale può esprimersi in termini di avara conservazione quando si vive per conquistare ed accumulare, oppure può raccontare un percorso quotidiano in cui ci si consuma per amore sostenendo la causa del bene che non è mai egoistico ma dono per l’altro. L’indice referenziale, per chi sceglie questa via, non è dato dalla propria convenienza ma dal sorriso altrui e cioè dal bene condiviso.
Questa postura non ha nulla a che vedere con il compiacimento di chi si sottomette ad ogni richiesta altrui senza porre alcun confine, tale atteggiamento promuoverebbe infantilismo da appagare senza frutto, piuttosto è espressione dell’amore che desidera il vero bene e quindi si oppone a tutto ciò che non avrebbe valore.
La causa del bene, dunque, è da intendersi come una lotta per custodire l’unica cosa necessaria. È così che ne parla la pagina evangelica (Lc 13, 22 – 30) di questa domenica la quale esorta a lottare per entrare dalla porta stretta che indica la meta dell’esistenza.
La vita, infatti, potrebbe ridursi ad un continuo dispendio di energie che procura amarezza e frammentazione quando si sceglie la porta larga che non ammette alcun filtro e che lascia il cammino personale in balia del vento di turno. Ciò è quello che scelgono gli opportunisti che entrano in continui compromessi al fine di salvare il proprio tornaconto, sono coloro che tradiscono le amicizie e non mantengono la parola data perché il rapporto con l’altro è solo strumentale all’appagamento egoico.
Difende la via che passa per la porta stretta, invece, chi sta nel viaggio esistenziale dando rilevanza alla meta e procede leggero senza pensare di doversi salvare da solo.
Interessante notare che a Gerusalemme durante la notte, dopo che veniva chiusa la porta della città, veniva mantenuta aperta una porta stretta che permetteva il passaggio uno alla volta e senza carichi, per evitare l’ingresso di pericolosi nemici. Per la porta stretta, si deduce, entra l’amico che non porta armi belligeranti ma la sua autorevolezza è data dall’umiltà e dalla fiducia.
Se l’umanità sta attraversando un tempo di grave crisi a motivo di continui disastri ambientali, guerre e stragi di popoli innocenti, è perché molti si impegnano in una continua espansione di comfort zone a discapito di tanti altri che ne pagano il prezzo.
Per scardinare questo processo delirante abbiamo bisogno di tornare all’avverbio negativo che si oppone a tutte le discriminazioni e difende la direzione volta alla porta stretta. La negazione che genera cultura ossia differenziazione e spirito critico rispetto ai processi mortiferi e distruttivi che l’era consumistica ha posto in essere. Noi non siamo quello che abbiamo e l’importanza di una persona non è misurabile in termini di possessi ma di visione di vita.
La porta stretta, ricorda il Vangelo, diventa un criterio di giustizia che unisce il Cielo e la terra e nessuno può dire di vivere la fede se questa non si traduce nella prossimità dei rapporti quotidiani e nella cura dei più piccoli. Non si tratta di una conoscenza razionale di Dio, anche i demoni lo conoscono, ma di integrare tutte le dimensioni della storia personale.
Il raziocinio scientista, invece, vorrebbe fare della conoscenza il modus per ritenersi “giusti”, mentre il Vangelo evidenzia che il compromettersi sporcandosi le mani per seguire la via del bene è l’unico criterio di verifica della propria fede.
Gesù stesso indica di essere la porta per la quale accedere nel Regno del Padre e Lui si è reso “porta” passando per la morte in croce. Significa che ha sconfitto la morte attraverso il dono della sua vita e, dunque, vivendo secondo il suo insegnamento ciascuno ha la possibilità di andare oltre la morte.
Passa per la porta stretta chi non vive orientato dalla paura di morire ma assume la causa dell’amore sino alla fine. In definitiva ad ognuno è dato di fare la propria parte spendendosi per l’unica causa per la quale vale la pena vivere.