L’esistenza umana è sempre a servizio di qualcuno o di qualcosa e, a riguardo, il Vangelo di oggi (Lc 16, 1-13) si conclude con un’affermazione lapidaria: «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Ciascuno è servo e non padrone, operaio nella vigna. Non si può partire da se stessi ma da un altro e l’ascolto è la condizione che permette di comprendersi ed agire.
A Francesco d’Assisi un giorno Dio gli pose una domanda: “Francesco, chi è meglio seguire, il servo o il Padrone?” Lui comprese che stava sbagliando direzione, cercava di crescere nello status sociale diventando prode cavaliere ma ciò significava dare potere agli altri, servi come lui, al loro giudizio e non al Signore che dà vero valore all’esistenza personale.
La questione sta nel decidere di farsi da soli credendosi padroni delle cose oppure di accogliere il dono che viene da un altro riconoscendosi, per questo, amministratori. È lo scarto tra il vivere per affermare e manifestare se stessi e il vivere per testimoniare che la fonte da cui si attinge è un Altro e che da questa relazione dipende la propria bellezza!
Essere custodi significa permettere l’evoluzione del dono, condividerlo tessendo rapporti di amicizia e non di competizione. La pagina del Vangelo di oggi ricorda che questa postura restituisce simmetria ai rapporti umani anziché svilirli attraverso pretese di sudditanza. Le ingiustizie sociali di ogni tempo, piuttosto, sono dovute a calcoli di convenienza utilitaristica dove il prossimo è considerato un numero relativo ai propri utili.
Servire Dio e la ricchezza è un itinerario illusorio perchè equivarrebbe a mettere sullo stesso piano Dio e altro e, dunque, a non riconoscere Dio che altrimenti avrebbe centralità su ogni cosa. Al suo posto si fa riferimento ad un idolo da cui avere un certo tornaconto, un dio minore al pari di altri idoli capaci di dare una parvenza di successo e di gloria.
Tutti abbiamo bisogno di riconoscimento, il punto è definire da chi si cerca la restituzione per dare valore alla propria esistenza. Così l’essere umano finisce per svendersi al migliore offerente, ora a chi è generoso nelle lusinghe, ora a chi procura facili guadagni, ora a chi si sottomette per paura. La criminalità organizzata cerca puntualmente questo tornaconto, dando una parvenza di appagamento a chi sente il brivido del potere esercitato su altri.
Eppure sappiamo bene come tali uomini, che siano mafiosi o altri potenti di turno, non possono permettersi la gioia dell’amicizia disinteressata, la fiducia nel raccontare le proprie fragilità, la libertà nel vivere senza preoccupazioni di temibili nemici. Colui che si sente padrone si scopre schiavo e la sua esistenza sempre più imprigionata e povera.
Gesù invita a lasciare ogni ricchezza definita “mammona”, ciò che dovrebbe garantire l’esistenza promettendo certa felicità, la base su cui riporre ogni fiducia al posto di Dio. Tutto il Vangelo mostrerà come la persona è fatta per l’amicizia e la condivisione del proprio per trovare il nutrimento che riempie l’esistenza. È la logica dell’amore, l’unico alimento capace di restituire piena dignità e forza all’essere umano.
È il rapporto che il Maestro instaura con i suoi condividendo non solo la sua esistenza ma anche la relazione con il Padre. Lui li chiamerà amici quando li servirà e farà conoscere il volto del Padre, non più competizione ma dono, non esclusione ma accoglienza.
Questa è la grammatica che fonda l’esistenza umana e l’esperienza cristiana. Senza spoliazione dagli idoli il cristianesimo sarebbe inafferrabile. Oggi molte pratiche ascetiche e meditative vorrebbero ingenerare liberazione da legami e da ogni sorta di attaccamento ma non è di questa esperienza che si tratta. Quello singnificherebbe scivolare nel nulla catartico che, a nostro avviso, spersonalizza e impoverisce l’animo umano.
Parliamo, piuttosto, di una relazione su cui fondare la propria esistenza. Un rapporto che nasce con l’accoglienza della Parola quando, finalmente, si riconosce di non bastare a se stessi e che il punto di partenza è un Altro da sé. È così che è possibile scoprire il dono gratuito da cui siamo generati alla fede, l’amore che attraversa chi consegna la propria fragilità senza timore di giudizio ma fidandosi della cura che riceverà per rialzarsi e tornare a camminare.
Si rialza, dunque, non chi si sente forte ma chi ha il coraggio di alzare lo sguardo ed accoglie l’aiuto che gli è necessario.