L’umanità dei nostri giorni vive un senso del tempo centrato sulla produttività, l’utile da ricavare viene a dare valore al tempo e finanche alle persone, invero, chi non frutta guadagni finisce con l’essere scartato dalla società contemporanea. Il senso cristiano del tempo è ben diverso, è legato all’incontro con Cristo e, dunque, è un tempo dal valore relazionale, non anonimo ma volto al reciproco riconoscimento.
Celebrare il tempo, per i cristiani, significa riconoscere che è abitato dal Cielo ed è per questo che viene inteso come kairòs e cioè occasione per esprimere, attraverso il proprio quotidiano, l’opera inedita di Dio. Ciò comporta che la storia viene letta come opportunità per rispondere alla vocazione personale e, quindi, tempo che genera esperienza del Cielo per sé e, attraverso l’impegno personale, anche per gli altri.
In questo primo giorno dell’anno il Vangelo (Lc 2, 16-21) ci dona tre coordinate che riteniamo significative per addentrarci nel tempo nuovo che ci viene donato. La vita non è mai scontata, ogni nuovo anno che si affaccia dinanzi a noi è da affrontare con gratitudine perché è il tempo in cui Dio potrà realizzare il suo disegno di bene visitando la nostra storia personale.
I tre aspetti che rintracciamo nella visita dei pastori alla grotta di Betlemme sono: il camminare senza indugio, l’ascolto che si apre allo stupore e la risposta alla promessa ricevuta.
Per entrare nella novità del tempo è necessario mettersi in cammino senza più procrastinare. Infatti, rimanda chi rimane attaccato alle proprie opere ponendosi al centro di tutto. Cammina, piuttosto, chi non sta al centro ma si mantiene discepolo, chi si lascia scomodare perché non fa della vita una sorta di quietismo in cui trovare continui appagamenti. Rimane in viaggio chi intende il proprio tempo come servizio e, dunque, condivisione con l’altro.
I pastori sono vigilanti, si prendono cura del gregge e sarebbero anche disposti ad affrontare i lupi, nel buio della notte, per difenderli. Sappiamo come, in quella società, fossero additati come individui ma il cammino li cambia, diventano capaci di una risposta nuova aldilà dei pregiudizi: anche questo è dato dal kairòs.
Loro hanno ricevuto un messaggio: “oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. E rimangono in ascolto per comprenderne il significato. Se si fossero fermati alle loro conoscenze pregresse avrebbero contestato e non si sarebbero stupiti, perché “Salvatore” nell’immaginario collettivo era il Messia vincitore e con il titolo di “Signore” veniva indicato anche il Cesare Augusto.
La scena che appare dinanzi ai loro occhi è ben diversa: c’è un bambino che rivela tutta la sua vulnerabilità e anche il contesto in cui è posto narra precarietà. La mangiatoia poi, ma sarà un particolare incomprensibile in quel momento, rivelerà in che modo Lui è venuto a riscattare l’umano e cioè facendosi cibo, pane spezzato, per guarire interiormente l’umanità corrotta.
La conclusione della pagina, infine, mostra come l’incontro e lo stupore che ne deriva devono portare a scelte concrete, all’assunzione della responsabilità del dono, così come attesta il nome dato, frutto della promessa: Gesù e cioè “il Signore salva”. Dio anticipa quello che intende realizzare ma è la fiducia nella promessa ricevuta a orientare il cammino di chi accoglie.
La fede non è vita scontata, ma attesa e desiderio, inquietudine e resistenza, audacia e fiducia. Quanti incontreranno Gesù in tutto il percorso della storia terrena, dovranno lasciarsi condurre da quella promessa. Dio salva non con la guerra, non con il dominare attraverso il suo potere, non con la svalutazione del nemico. Lui viene a portare la pace e l’amicizia tra il Cielo e la terra e tra gli uomini tutti. Maria e Giuseppe imparano ad essere strumenti di questa nuova visione e opera di Dio, loro custodiscono il dono e ne permettono l’espressione. Maria serba nel suo cuore la promessa e gli eventi che, man mano, si vanno realizzando dinanzi ai suoi occhi. Lo stesso accade per Giuseppe che si fida dei sogni e non del calcolo programmatico e, responsabilmente, assume il rischio delle scelte.
Comprendere è possibile nella misura in cui, gradualmente, si mettono insieme tutte le esperienze della propria esistenza come un puzzle che, man mano, rivela il paesaggio. L’immagine, ancora, è quella di un quadro che nel tempo si va colorando attraverso le scelte di bene che coinvolgono l’esistenza di ciascuno. Anche la pace, allora, viene a costruirsi a partire da questa fiducia nel Cielo e, di riflesso, nell’umanità chiamata a compiere storia di bene.