Oggi assistiamo ad un diffuso neopaganesimo basato su pratiche rituali volte ad ottenere favori e potere, per soddisfare l’ambizione personale. L’individuo resta centrato su se stesso e perfino la preghiera e il culto offerto a Dio sono strumentali ad ottenere il proprio tornaconto senza una reale fiducia nel cielo. L’intento, piuttosto, è di pagare Dio legandolo alle proprie richieste ed è così che si regge l’elevata ipocrisia narcisistica dell’uomo contemporaneo.
I pagani, infatti, nutrivano la segreta illusione di potere comprare i favori delle divinità o, ancora, di ottenerne potere per colpire il nemico e i luoghi deputati al sacro diventavano roccaforti di potere, perché intesi come garanzia della presenza e dei favori del cielo.
Un processo analogo è quello che esprime la religiosità del boss locale il quale elargisce favori in cambio di amicizia e di consenso indiscusso su tutto e su tutti. Simile finzione scenica genera doppiezza e frammentazione di vita fino a coniugare l’offerta al divino con lo sfruttamento e l’oppressione dei deboli. Pensare che anche la politica, troppo spesso, si regge sulla stessa logica interessandosi degli interessi di pochi più che del bene comune.
Stranisce che l’analisi del malessere attuale si ferma alla lettura dei sintomi senza ponderare la necessità di cambiare il sistema che alimenta l’aumento delle dipendenze, lo sfaldamento delle famiglie, la vulnerabilità della salute mentale, la crescita esponenziale di antisocialità e condotte criminali. Tutte problematiche che vengono trattate come se non vi fosse correlazione tra povertà educativa e spinta alla cultura consumistica, o tra produzioni televisive e implemento dei modelli devianti.
Il Vangelo scardina tale assetto, contrastando ogni doppiezza e dualismo di vita, facendo della giustizia verso il prossimo il criterio della verità del culto rivolto a Dio. È perciò che il Vangelo, per la Comunità di Danisinni, è la chiave ermeneutica per avviare un reale processo di trasformazione e di rigenerazione urbana che tenga conto della popolazione che abita il territorio e del valore che è dato a ciascuno perché riconosciuto figlio del Padre che è nei cieli.
Non più un luogo ma una relazione, non più una preghiera volta a dimostrare la propria perfezione ma l’accoglienza della Parola capace di sanare la fragilità dell’uomo e di orientarne il quotidiano.
Secondo questa prospettiva la festa dell’Ascensione che celebriamo oggi indica la necessità di tradurre in vita la Parola accolta. Non uno sguardo rivolto al cielo come a delegare in modo fatalistico le scelte necessarie, come fanno tanti che si danno all’astrologia, e neppure un cercare tra i morti colui che è vivente, e cioè con la pretesa di sostituire le cose alle persone. Piuttosto è richiesta una testimonianza che riveli la credibilità dell’annuncio cristiano e questo è possibile solo abitando il quotidiano illuminati dalla esperienza del Signore.
Con l’ascensione al cielo, Gesù si sottrae da ogni possibile dipendenza, non rimane a guidare la vita dei discepoli attraverso continue indicazioni o rimproveri, ma chiede una fede adulta capace di interiorizzare il Suo insegnamento e la Sua stessa vita. Non un rapporto formale costruito su una obbedienza passiva, ma una relazione che si nutre dell’amore lasciandosi trasformare da esso.
L’amore autentico, infatti, cambia chi lo riceve perché lega e trascina in una reciprocità dove ciò che si è ricevuto rigenera e apre al dono. L’amore autentico apre ad una custodia interiore perché l’altro non rimane esterno ma diventa parte di sé ed è per questo che lo si porta nel cammino quotidiano.
La memoria, dunque, diventa esperienza viva e non mero ricordo consolatorio, esperienza capace di attualizzare nel proprio oggi il bene di cui ciascuno rimane responsabile. È così che i discepoli scoprono la presenza del Signore, non fuori di sé ma attraverso la loro testimonianza radicata nell’amore ricevuto.
L’ascensione apre i discepoli ad una missione inedita: non c’è più un luogo ove cercare il Signore ma una comunione da costruire per renderlo presente in mezzo a loro!
Ripartire dalle relazioni abitate dalla presenza dello Spirito, dunque, è l’esperienza straordinaria che segna l’identità della Chiesa. Non si tratta di cadere nell’equivoco di una mera “energia” che anima la terra come professano tanti cultori di scuole contemporanee dediti alla pratica meditativa per ottenere felicità o all’attivazione dei chakra per arrivare all’equilibrio energetico. In quel caso il benessere psicofisico assume la connotazione di una nuova spiritualità che, di fatto, è traducibile nel culto di sé e, certamente, non nella fede in Dio.
Ci rendiamo conto che grande è la confusione culturale dei nostri giorni e la proposta religiosa, frutto di un sincretismo che mette insieme spiritualità differenti, spesso è funzionale ad appagare l’egocentrismo individuale seppure mascherato dalla difesa di valori quali la libertà e la verità personale.
L’occasionalità dei rapporti, ad esempio, era tipica delle religioni agricole le quali avevano riti sessuali fino ad arrivare a cerimonie orgiastiche interessate alla fertilità della terra e, dunque, al tornaconto in termini di piacere e di proventi. Ma l’Alleanza di cui narra il Vangelo ha come immagine la fedeltà dello Sposo, Cristo, verso la sposa rappresentata dalla Chiesa.
Anche l’esperienza del perdono che veniva regolata dai sacrifici e dalle offerte, quale compravendita dei favori divini, nella Pasqua cristiana è ben altra cosa: è l’incontro con la misericordia di Dio che precede il pentimento dell’individuo.
Quella ad essere richiesta, invece, è la fede autentica dove l’umano si consegna con tutto quello che è, senza ipocrisie, al Padre per ricevere il dono della vita vera.
Il cristianesimo, dunque, non è riducibile ad una tecnica o, tantomeno, ad una dottrina. Non è neppure una verità arcana da trasmettere agli iniziati così come accade nelle logge o nei gruppi esoterici. Semplicemente è l’esperienza dell’incontro con Dio che desidera entrare in relazione profonda con ogni essere umano donandogli la Sua stessa vita. L’Ascensione, allora, rivela come l’incontro non sta più nello straordinario o nel sensazionale ma nello stare nel quotidiano lasciandosi illuminare dalla Luce che viene dal cielo.