La brama di potere evidenzia la pretesa di dominare l’altro e, dunque, l’illusione di essergli superiore. La società tecnocratica attraverso una meticolosa strategia culturale sta cercando di risolvere la questione sul potere neutralizzando le differenze e così affermare che si è tutti uguali.
In realtà questa operazione è alquanto allarmante perchè la differenza è insita nelle relazioni e l’uguaglianza, così come viene propinata, può portare all’appiattimento privo di dialettica, all’individualismo in cui si evita la fatica del legame, all’uso dell’altro perchè considerato al pari della merce gestita a proprio piacimento. In definitiva, l’uguaglianza intesa come uniformità ha come risultante la sottomissione ad un unico potere ed è la logica che seguono molte organizzazioni settarie parecchio diffuse nella nostra società.
I rapporti sono sempre asimmetrici e la diversità apre la porta all’accoglienza gratuita, al dono per l’altro, al legame d’amore che sostiene le fatiche del tradimento inteso quale sottrazione alle proprie aspettative. Apre, pure, alla possibilità della scelta: rinunciare a combattere per affermare se stessi di fronte all’altro è, infatti, una scelta in ordine alle priorità.
Quante battaglie e dispendi di energie si fondano sul pretendere di avere ragione e quanta libertà, piuttosto, si trova nel rinunciare a dovere dimostrare ad ogni costo il proprio pensiero.
La scelta permette di navigare leggeri nel mare della vita e di scrollarsi da tutti quei carichi che potrebbero offuscare il senso delle cose e il valore ultimo per il quale vale la pena spendersi sino in fondo. È una “la buona battaglia” della vita come ci ricorda la Scrittura, se tutte diventassero importanti allora nessuna di esse avrebbe valore!
Senza rispettare questa differenza si diventa sterili perchè generare presuppone il mettere al mondo qualcosa di diverso da sé. I piccoli si ammalano quando i genitori non permettono loro di essere se stessi e, cioè, quando l’educazione viene intesa come un plasmare e controllare il pensiero altrui senza ammissione di originalità. Il processo di individuazione, piuttosto, è sempre relazionale ed è frutto dell’interazione con gli altri dove la reciprocità diventa generare permettendo la rivelazione altrui.
Proprio nel Vangelo di questa domenica (Mt 22, 15 -21) troviamo una tipica dinamica di potere che vorrebbe impedire l’espressione di Gesù. I farisei che già hanno cercato di tendergli delle insidie ora vorrebbero incastrarlo esponendolo al giudizio altrui in accordo con gli erodiani. Questi erano filoimperiali e dunque disposti al compromesso di un re che potesse governare, diversamente i farisei rimanevano in attesa del re messia e quindi contrari all’impero dominante, eppure entrambi entrano in accordo per condannare Gesù. Infatti qualsiasi risposta avrebbe portato o alla denuncia dei farisei dinanzi al popolo o a quella degli erodiani di fronte al governatore. Sappiamo come, successivamente, alla fine del processo Lui sarà condannato da entrambi!
Dunque, tessendo una trappola, loro chiedono se è lecito pagare il tributo a Cesare. La questione è sottile perchè di fatto Dio non voleva che Israele avesse un re perchè significava non fidarsi della custodia che dava Lui e, dunque, cercare garanzie nel potere terreno. E la profezia annuncerà la venuta di un re messianico il quale non risponderà agli stereotipi propri del sovrano ma di un umile liberatore che porterà la giustizia e la pace senza affermarsi con la violenza.
Gesù rivelerà con la sua vita questo nuovo modello che sulla croce mostrerà tutta la sua regalità. In fondo l’immagine del re catalizza le aspettative umane ed è allora che Gesù testimonierà un nuovo modo di vivere e cioè da figli.
Nel mentre, per rispondere alla domanda, si fa prendere una moneta e chiede loro di esporre di chi è l’immagine. Gli riferiscono che si tratta di Tiberio Cesare e sappiamo che ivi stava scritto: “il divino Tiberio Cesare figlio del dio Augusto”. La moneta indica le coordinate di chi cerca il potere secondo la pretesa autoreferenzialità umana e, di conseguenza, si sottomette ad esso. Proprio gli interlocutori hanno quelle monete addosso!
Gesù si sposta su un altro piano, Lui non ha alcun rapporto con questo tipo di potere e fino a quando l’essere umano cercherà di crearsi un’immagine di Dio allora gli sarà precluso l’accesso al potere messianico, non comprenderà il senso di quello che spiega Gesù.
San Francesco quando cesserà di lottare per l’escalation sociale e quindi per diventare cavaliere e così avere maggiore prestigio, scoprirà il lebbroso e cioè l’uomo inerme che non ha alcun potere se non quello di lasciarsi amare. Francesco lo servirà e incomincerà a fare esperienza della figliolanza, riconoscerà il Signore nel prossimo e deciderà di essere minore, al di sotto di quanti gli stanno accanto. Anche san Paolo che aveva fatto della religione e dunque dell’essere un ligio osservante della Legge il suo ruolo di potere, scoprirà che la vera grandezza sta nel riconoscersi deboli e, pertanto, bisognosi dello sguardo del Padre. La sua relazione filiale diventerà la sua vera potenza.
La logica è invertita, ora è il potere dell’amore a prevalere, il dare per ricevere, la debolezza per trovare forza. Gesù non si proclamerà imperatore ma servo di tutti ed è così che salverà il mondo. Pensare che il cristianesimo si diffonderà presto nelle città dell’impero, nei luoghi urbani dove gli apostoli verranno ospitati e saranno le donne ad accoglierne per prime l’annuncio e poi trasmetterlo ai mariti e ai piccoli. Nessun potere, dunque, potrà resistere alla testimonianza cristiana.
L’immagine di Dio per questi discepoli scaturirà dalla debolezza della Croce e cioè dall’amore che resiste ad ogni forma di intimidazione perchè rimane forte della comunione con il Padre. Loro non si piegheranno alle lusinghe dell’imperatore e quando saranno minacciati sapranno affrontare il martirio dando testimonianza della loro fede. Mostreranno così l’immagine di Dio, attraverso il loro corpo trafitto, e dunque si riapproprieranno della vera immagine vivendo da figli!
Il potere che spetta a Cesare, dunque, è ben altra cosa rispetto alla regalità a cui appartengono i figli di Dio.