La nostra esistenza si dispiega puntualmente all’interno di relazioni che danno senso ai luoghi e al tempo trascorso. Altrimenti, nella solitudine, luoghi e giorni perdono il loro valore lasciando spazio al vuoto e alla melanconia del vivere.
Sindromi come l’Hokikomori, la depressione o le nuove dipendenze denunciano quanto grave sia il ritiro sociale e l’isolamento esistenziale che sta attraversando la nostra epoca. L’individuo si è illuso di potere fronteggiare tutto da solo ma, così facendo, ha frainteso il senso della propria identità. Individuo, infatti, non coincide con individualismo perche l’essere indivisi suppone l’essere separati da altri e non l’essere indipendenti dagli altri!
Siamo tutti interconnessi e già nei processi di crescita sappiamo bene che senza una sana dipendenza non potrà esserci una matura indipendenza. Privati, dunque, dei legami che per mezzo della fiducia e dell’accudimento affettivo regolano la nostra autonomia rischiamo di perdere il tratto umano che ci fa gli uni bisognosi degli altri e, per questo, capaci di amore.
La pagina del Vangelo (Mt 5, 38-48) di questa domenica entra nel merito dei rapporti umani provocando, a chiare lettere, la postura di chi cerca di valutare le relazioni in base a criteri di opportunità e di convenienza.
Tirata in ballo la legge del taglione con il principio di rivalsa “occhio per occhio e dente per dente”, Gesù la supera arrivando a parlare di amore per i propri nemici. Non si tratta, certo, della sottomissione remissiva di chi si lascia oltraggiare dall’ingiusto avversario ma della rettitudine di vita che non ammette cambiamento a motivo del male altrui.
È più coraggioso chi è disposto a mostrare l’altra guancia dopo che la destra è stata colpita da un manrovescio in senso di dispregio, come a chiedere all’aggressore che c’è un volto che va riconosciuto perchè ha una sua dignità. È un gesto, altresì, disposto alla riconciliazione perchè non mostra la parte ferita come a colpevolizzare, ma l’altra con cui è possibile ricostruire e ripartire.
A ciascuno, dunque, è dato di scegliere se covare odio contro l’altro o prendersi cura delle proprie ferite. Infatti quando nutriamo livore per quel che ci è successo stiamo dando nuovo potere alla persona che ci ha procurato del male e stiamo ulteriormente amplificando la nostra sofferenza.
Mentre la legge del taglione regolava i rapporti umani secondo un criterio di giustizia e di restituzione del male fatto, la legge portata da Gesù rivoluziona questo parametro indicando che la risposta non deve essere proporzionata a quel che è stato commesso ma diametralmente opposta. La resistenza dell’amore, l’ostinazione nel bene malgrado tutto, custodisce la verità sebbene attorno dilaghi la menzogna e l’incomprensione.
Amare i propri nemici equivale a non avere nemici e Gesù arriverà perfino a chiamare Giuda “amico” proprio nel momento del tradimento. L’esistenza umana è questione di prossimità e non di inimicizia, e non è l’altro a doversi fare prossimo ma ciascuno ha la capacità di esserlo così come racconterà la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37).
Sappiamo, però, che il Maestro chiederà conto del ceffone datogli dalla guardia del sommo sacerdote dopo l’arresto: “perchè mi percuoti? (Gv 18, 23). La domanda serve a fare emergere la verità di quel che sta accadendo, non è tanto un atto di affermazione ma di rivelazione. Gesù manifesta che sta agendo per amore e non perchè si senta un fallito che ha perso tutto, e le parole di perdono rivolte al Padre porteranno a compiemnto la sua missione di riconciliazione tra il Cielo e la terra.
Qualcuno potrà chiedersi come si possa parlare di rappacificazione considerando che tutto si è compiuto con la crocifissione del Figlio di Dio. Ed è necessario uscire dalla mentalità calcolatrice per trovare risposta: la pace in questo mondo è possibile se ci sarà qualcuno disposto a lasciare perdere, non potrà esserci pace senza amore ma solo tregue dettate da interessi politici del momento, non potrà esserci liberazione dalle tante schiavitù fino a quando l’essere umano pretenderà di sostituirsi a Dio, e non potrà esserci vera umanità se non attraverso la scoperta del dono gratuito che il Padre ha fatto per mezzo del suo Figlio.
Senza vita filiale rivolta al Padre l’umano non sperimenterà vera gratitudine, i suoi giorni saranno un continuo rivendicare e il creato il luogo da depredare. Senza accogliere il perdono dal Cielo l’umanità continuerà a correre per dimostrare di essere buona e giusta. È così che si perde il senso dei giorni. A noi, piuttosto, interessa vivere!