Questa mattina percorrendo il Parco urbano della nostra parrocchia Sant’Agnese sentiamo l’aroma di gelsomino fiorito che si spande in tutta l’area e questa percezione stimola una memoria affettiva che rimanda all’infanzia, a quando decoravamo le case con il gelsomino nei giorni di festa o, ancora, si preparava il gelo fatto con l’anguria e poi aromatizzato con il gelsomino appena raccolto. Un calore antico che riscalda il presente e ci spinge a guardare avanti aprendoci alla meraviglia dei giorni, perché se il tempo è attraversato con atteggiamento di attesa e capacità di stupore ecco che può rivelare la sua profondità che è sempre oltre le apparenze o il singolo momento.
Questa è la logica pasquale nella quale siamo stati introdotti durante la notte appena trascorsa, esperienza che ci permette di approfondire il senso dei nostri giorni e il gusto che custodisce il cammino orientato verso la meta.
Se è vero che il nostro corpo porta in sé una memoria relazionale segnata dagli ambienti e dalle persone con le quali abbiamo condiviso esperienze di vita e, all’improvviso, evoca emozioni e risonanze proprie del nostro passato, è anche vero che ciascuno elabora in modo unico e personale gli accadimenti e proprio la luce pasquale permette di scorgerne il colore autentico e la sintonia con il Cielo.
La Pasqua, dunque, ci dona la chiave ermeneutica per comprendere gli eventi che hanno attraversato la nostra vita e ci permette di rimanere protagonisti attivi del cammino e della missione che ci viene consegnata.
Dona una luce inedita al nostro corpo e a quello che sperimentiamo quotidianamente. Il corpo, nella società globalizzata, solo apparentemente è stato posto al centro, in realtà è un corpo misconosciuto, così esaltato per l’esteriorità e la bulimia del piacere, di fatto è negato e svalutato. Il corpo è diventato il luogo del possesso e dell’accumulo esponendo, così, ad una grande frammentazione delle relazioni, usate con fare autoreferenziale, e al sovrappeso proprio di chi si tratta con avarizia. Tale è un corpo che volge alla morte e che trova nella terra il suo epilogo!
Ma ciascuno, nel suo corpo, porta una promessa di eternità e questa trova voce quando si esce da un ideale di perfezione da attuare. In realtà siamo fatti per so-stare e riconoscere, partendo dal contatto e dall’interazione con l’ambiente che ci circonda, la possibilità di incontro e di prossimità, e ciò si esprime nella cura delle reciproche fragilità. Chi cerca la perfezione, invece, eviterà di riconoscere la precarietà del vivere e dichiarerà al mondo di non avere bisogno, si ergerà al di sopra degli altri e, di fatto, rinuncerà costruire rapporti autentici e nutrienti.
Lo stesso accade a chi si rivolge alla materia per esserci, è la visione di chi mira all’eccesso, a quel di più che dovrebbe caratterizzare il sapore delle cose secondo la logica di questo mondo che, in questo modo, vorrebbe sfuggire alla “monotonia” dei giorni. Crediamo, piuttosto che le sfumature di colori e le continue risonanze interiori appartengono ad ogni persona perché tutti siamo capaci di molteplicità di letture, di percezioni ed inediti punti di vista. È come quando i bambini di Danisinni inventano i giochi e così esprimono la loro creatività attraverso plurime esplorazioni. Senza ricerca, infatti, non c’è crescita e una società propensa ad affibbiare un ruolo, come in una catena di montaggio, è destinata ad implodere, perché passivizza i cittadini e rende i luoghi anonimi e cioè incapaci di esprimere bellezza ed originalità.
La Pasqua, invece, è il racconto di una ricerca che rimanda ancora più avanti, a scorgere i segni nella quotidianità che porta un senso nuovo perché abitata dalla presenza del Risorto. Al corpo è restituita dignità perché è attraverso la corporeità che attraversiamo il viaggio della vita e così manteniamo la continuità del cammino.
Comprendiamo, dunque, le domande che saranno poste ai discepoli: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” e poi “ Perché state a guardare il cielo?”. L’esperienza della Pasqua rimanda alla Galilea e cioè al quotidiano dove si vive l’amicizia con il Risorto e dunque si affronta la realtà, senza fughe, da discepoli. È allora che la storia di ciascuno diventa opera di Dio e rivelazione della bellezza che ci accomuna al Cielo.
L’amore che si consuma è per sempre anche se man mano procede verso una sempre maggiore essenzialità, così come il cero pasquale che donando luce si consuma fino a sparire dinanzi ai nostri occhi e, per questo, essere custodito per sempre: l’amore consumato in terra apre il passaggio al Cielo.