Il criterio di visibilità utilizzato ai nostri giorni genera continue esclusioni e solo apparenti inclusioni. Pensiamo, ad esempio, all’acronimo inglese NEET (Not in Education, Employment or Training) riferito ai giovanissimi non impegnati nello studio, né nel lavoro né nella formazione. Una definizione al negativo che indica quel che loro non sono e che, pertanto, pare rinforzare la loro invisibilità.
Gli indici di successo e di felicità utilizzati rispondono a degli standard che muovono da una visione di società e di persona, centrata maggiormente sull’efficientismo e, dunque, sulla utilità, piuttosto che sul valore personale. E se provassimo a cambiare angolazione?
Scoprire che la fecondità dei propri giorni è legata ad una storia di riconoscimento reciproco dove a ciascuno è dato spazio di espressione e capacità di cittadinanza attiva, a nostro avviso è un capovolgimento di prospettiva. Questo passaggio sottintende un andare oltre le apparenze fino ad avere una lettura inedita della storia.
La Parola di Dio che ci viene donata dalla liturgia di oggi muove in questa direzione. Dapprima è Ezechiele (17, 22-24) a rivelare ad Israele che, in un tempo di sconfitta e di apparente insuccesso, Dio può compiere la sua opera attraverso la piccolezza di quel che resta: «Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele». E, similmente, a Gesù sarà attribuita la profezia di Isaia (11, 1): «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici». La logica è quella della piccolezza, della invisibilità di cui si serve Dio per realizzare la sua opera. Fino a quando il criterio efficentista riempirà d’orgoglio l’individuo, non ci sarà spazio per la bellezza, per l’altro e per l’autentica espressione di sé!
Il centrarsi sul compito, infatti, abbrutisce ferendo le relazioni perché “le cose da fare” diventano più importanti, e si perde quel tratto di umanità che riconcilia con il senso del limite e con la propria fragilità. Il Vangelo (Mc 4, 26-34), piuttosto, indica un criterio relazionale che si fonda sulla fiducia e la conseguente capacità di attesa, perché prima che l’impegno chiede l’accoglienza: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
La Parola, infatti, come il seme va accolta e quando si rimane aperti alla risonanza interiore – ben diversa dalla comprensione della Parola per continuare a controllare tutto – ecco che scava e trasforma permettendo di abbandonare le sicurezze di un tempo.
La vita di ciascuno, dunque, è retta da “garanzie” ma è necessario ricercarle oltre le apparenze così come è del granello di senape il quale pur essendo il più piccolo tra tutti i semi, poi, diventa un arbusto capace di accogliere tra i suoi rami miriadi di uccelli i quali potranno fare il nido alla sua ombra.
Viene introdotta, così, una nuova visibilità propria di chi condivide i doni ricevuti permettendo la custodia e il beneficio altrui. Si diventa “visibili” quando si scopre che ciascuno non vive per se stesso e riconosce la vita quale chiamata alla comunione, quando si accetta di perdere qualcosa per amore dell’altro, quando ci si muove gratuitamente e con gratitudine perché l’esistenza appare come dono continuamente alimentato dall’amore del Cielo.
Il tempo, secondo questa prospettiva, non viene più percepito come ricorsa per accumulare ma viaggio da attraversare in vista della meta, e lo spazio è da abitare con generosità per favorire la crescita altrui. È per tale ragione che all’acronimo NEET preferiamo PEER e cioè: Potential (engaged) Education Employment to be recognized – potenziali studenti e lavoratori da riconoscere. L’altro è sempre una possibilità ma è responsabilità di ciascuno favorirne l’espressione.