Il cercatore attende e l’attesa è la condizione per costruire ponti relazionali, vie per incontrare realmente l’altro uscendo da se stessi. Prendere le distanze dall’esclusiva ricerca di compiacimento personale è la postura necessaria per scoprire il senso delle cose e per nutrire le relazioni.
La prospettiva del “tutto e subito”, diversamente, rende l’umanità bulimica, e dunque povera, perché fa abitare questo mondo sfruttando le risorse fino alla desertificazione e snaturando i rapporti umani riducendoli a meri oggetti del proprio appagamento.
Analogo è il risultato della politica quando si organizza su un piano unicamente emergenziale che ha come metro il riscontro immediato, così facendo, perde la visione e la capacità di andare oltre e, dunque, finisce col mantenere le fasce disagiate in una condizione di dipendenza passiva.
Superare questa logica, legata all’istante e al segmento progettuale, significa ampliare l’orizzonte preparandosi a quel che potrà essere motivo di cambiamento.
Il senso dell’attesa dice dell’impegno nel cammino, della resistenza alle frustrazioni in vista di un bene maggiore, un percorso che genera cambiamenti perché si prende a cuore la causa comune e non soltanto l’interesse individualistico di pochi.
La saggezza si rivela nell’attendere e orienta al sapore dei giorni, ciò attraverso un costante discernimento della direzione da perseguire. Lo stolto, così come nella prospettiva evangelica, assume una posizione falsamente prudenziale da non confondere con il senso dell’attesa perché, per non affrontare rischi, si adegua ai cliché della moda e quindi finisce col nascondere i propri talenti che ne esprimerebbero l’originalità. A riguardo solo apparentemente le mode sociali, anche le più trasgressive, rivelano l’autenticità delle persone perché in quei casi la libertà viene subordinata alla tendenza del momento!
Non tutto è controllabile o prevedibile ma, certamente, a ciascuno è dato di mantenere la direzione che volge verso la luce senza lasciarsi disorientare dalle intemperie della vita. L’attesa della meta sostiene il cammino e il viaggio porta con sé il gusto della promessa verso cui si pone la propria fiducia. Questo atteggiamento esprime l’audacia delle fede che non si ferma ad uno sguardo rassegnato ma accetta il rischio di andare oltre per sognare il cambiamento.
Il Vangelo di questa ultima domenica di Avvento rivela nella figura di Giuseppe la capacità di chi si lascia condurre dal sogno senza tirarsi indietro di fronte alle sfide della vita.
In un momento cruciale del suo cammino esistenziale, quando il progetto preventivato dalla storia era stato messo in discussione, lui viene visitato dalla Parola di Dio. Avrebbe potuto continuare a rimuginare, tra sé e sé, per trovare una soluzione al problema che lo aveva destabilizzato e invece si mette in ascolto.
Quando la complessità della vita abbisogna di risposte inedite l’atteggiamento propizio è quello di non ripiegarsi in se stessi ma di fare spazio all’ascolto.
Giuseppe, con questo atteggiamento, si decentra scoprendosi incapace di affrontare tutto da solo ed è allora che Dio può parlare. Lui sarà invitato a dare nome al figlio Gesù e quindi prenderlo con sé. Alla relazione paterna viene restituito, in modo inedito, il ruolo di custode che esula dal paternalismo di chi pretende di possedere l’altro e che, piuttosto, indica il prendersi cura accompagnando alla vita adulta. È il ruolo educativo che viene chiesto verso le nuove generazioni: essere testimoni di vita buona per favorire la crescita dei piccoli ponendo un limite che orienta verso il bene.
L’assenza di confini, ai nostri giorni, nasce da un frainteso nel ruolo educativo, come se l’amore per i bambini dovesse tradursi in una continua accondiscendenza. Il diffuso narcisismo così come la perdita di identità e del gusto per la vita, scaturisce da questa deresponsabilizzazione che, inevitabilmente, finisce col compromettere le relazioni affettive e il rapporto con la realtà.
Giuseppe si assume la responsabilità del rischio, accoglie ma non si appropria, lavora per nutrire il figlio Gesù. Questo gesto di accudimento esprime, in particolare, la prospettiva eucaristica centro della fede cristiana: sulla mensa ciascuno depone l’offerta del proprio lavoro e, questa, accolta in Cielo viene restituita come Corpo di Cristo.
Il cristiano è chiamato a vivere il proprio impegno quotidiano non tanto per l’affermazione individualistica, ma per la partecipazione alla comunione con il disegno di bene che Dio continua a proporre all’umanità. Spostare il piano di interesse dal fine utilitaristico a quello del dono gratuito è la grande sfida dei nostri giorni: la gratuità nel bene restituisce umanità a questo mondo ed è la via privilegiata per orientare la storia verso una reale crescita a beneficio di tutti.