Senza relazione non c’è vita e, comprendiamo bene, la relazione è vera se si rispetta la diversità e, al contempo, rimane aperta alla comunione. Non è possibile portare avanti progetti comunitari come, ad esempio, la famiglia o una cooperativa sociale, se prima non si parte dalla relazione che, di fatto, muove dall’amore.
Se non ami, dunque, non puoi stare autenticamente nella relazione con l’altro, altrimenti ci si unirebbe per un fine individualistico e magari secondo un principio di fratellanza che terrà insieme fino a quando ci sarà un utile da ricavare.
Le trasformazioni sociali, i cambiamenti culturali così come la profezia comunitaria, invece, sono il frutto di una relazione comunionale e cioè fondata sull’amore.
Oggi ricorre la festa della Santissima Trinità e Dio ci viene rivelato in tre persone in comunione relazionale. Ci rendiamo conto che è possibile celebrarne la festa se si accoglie il dono di Dio e cioè la vita battesimale che esprime l’essere stati generati dal Suo amore. Altrimenti incapperemmo in una mera speculazione mentale volta a capire e spiegare chi è il nostro Dio ma senza farne esperienza.
La cultura contemporanea si muove in questa direzione perché pone l’individuo al centro e, dunque, spinge verso l’autonomia e l’autosufficienza come se ciascuno potesse bastare a se stesso. Anche il rapporto con Dio è inficiato da questa prospettiva e, così come fu nella storia di Babele, la relazione col Cielo viene sperimentata come uno sforzo perfezionistico volto a dimostrare la propria grandezza per essere degni dello sguardo divino.
Secondo questa prospettiva la Santissima Trinità è ridotta ad una perfezione eterea e raggiungibile solo attraverso ragionamenti astratti e distanti dalla quotidianità. Il cristianesimo, così inteso, assumerebbe una veste sacrale, dove la liturgia sarebbe relegata ad uno spazio totalmente separato dalla vita e la spiritualità resterebbe circoscritta ad alcuni tempi che nulla hanno a che vedere con le questioni di ogni giorno.
Eppure “individuo” non significa essere separati ma integri, e cioè interi di fronte alla vita, con tutta la passionalità e la fragilità che questo comporta senza misconoscere nulla. L ’esistenza personale, così intesa, è all’insegna della precarietà e cioè del cammino da realizzare e scoprire ogni giorno, e la storia si traduce in un’avventura in cui ci si sente coinvolti insieme agli altri.
Quando papa Francesco ricorda che “il tempo è superiore allo spazio”, invita a mantenere lo sguardo sui processi senza mire di potere, perché la vita è frutto della relazione che rimane dinamica perché Dio porta sempre oltre in quanto la meta è il Cielo. Non è più consacrato lo spazio, come per l’antico Israele, ma il tempo perché nel tempo si esplica l’amore. Ed è allora che la vita spirituale si rivela in ogni ambito della propria esistenza e il Dio trinitario si fa esperienza quotidiana.
Il cristiano reso partecipe della vita di Dio, dunque, entra a fare parte del rapporto di comunione che, ora, attraverso la vita dei credenti unisce il Cielo con la terra. La rigenerazione dall’alto offre un nuovo modo di stare nel mondo: Maria accoglierà il progetto comprendendo che non è questione di meriti ma di umiltà, Pietro imparerà a deporre la spada e a vivere servendo, e la miriade di discepoli che si succederanno nei secoli ripartiranno dal battesimo e cioè dall’immergersi nell’esistenza fidandosi che Padre li porterà oltre.
Riferirsi al Dio trinitario, allora, significa fare esperienza: della paternità di Dio che continua a prendersi cura del genere umano nonostante tutto; della figliolanza di Dio che si offre per amore perché desidera ritrovare i fratelli; dell’amore divino che attraversa i tempi e i luoghi rendendo l’umanità partecipe della misericordia che guarisce ogni ferita.
Non c’è più ostacolo, divisione o distanza che possa separare dall’amore di Dio. Il tempo della chiesa, pertanto, è l’occasione per accogliere il dono della vita divina che potrà essere approfondito durante tutta la vita e, poi, portato a compimento oltre la morte.
Da precisare, però, che Lui per primo ci ha accolti assumendo la natura umana. L’incarnazione rivela lo spazio che Dio ha fatto dentro di sé per entrare in relazione con l’umanità perduta. Entrando a contatto con i meandri del peccato e della fragilità umana Dio rivela un nuovo modo di guardare l’altro e cioè secondo le coordinate dell’amore.
Lui accoglie e sana ogni ferita e ciò è possibile grazie alla scelta del Padre che dona Suo figlio per amore dell’umanità perduta. In Gesù si rivela il giudizio del Padre che si ricorda della Sua misericordia e del desiderio di comunione con ciascuno. Lo sguardo di Dio non viene alterato dal male dell’uomo ma rimane orientato al perdono perché denso d’amore.
Quando con il segno della croce richiamiamo il mistero trinitario, allora, esprimiamo questo significato perché l’amore rimane tale nella prova e in ogni possibile crocifissione. E i discepoli sono inviati ad annunciare e guarire secondo la loro esperienza e, così, il battesimo amministrato genererà nuovi discepoli. Questa è la missione che viene data alla Chiesa affinché ciascuno possa conoscere la bellezza del Maestro.
Al cristiano, dunque, spetta di rimanere in cammino dietro il Signore, riconoscere che tutto è precario e passa perché Lui ci porta verso la meta che si raggiunge consumandosi nell’amore.