Nulla è scontato nella vita dell’uomo sia perchè non abbiamo il potere di controllare e prevedere tutto e sia in quanto è necessario un sì quotidiano, a partire dal mattino quando decidiamo di affrontare il nuovo giorno facendo la nostra parte.
Tale considerazione è ancora più vera in questo tempo di pandemia in cui ciascuno lotta per contrastare il calo psico-emotivo dovuto alla vita sedentaria e, dunque, alla mancata produzione di serotonina, dopamina o altri neurotrasmettitori funzionali allo stato di benessere. È un paesaggio triste quello in cui ci muoviamo, aggravato dalla solitudine in cui si sono trovati molti al termine del loro cammino terreno.
Eppure non possiamo ridurre l’esistenza umana all’interno di uno scenario bio-chimico, siamo molto di più dei nostri ormoni o dell’aumento di cortisolo nel sangue che sta a segnalare lo stato depressivo e di stress. Il genere umano ha una capacità che può attraversare limiti che altrimenti sarebbero insormontabili. Siamo capaci di “resilienza spirituale” e cioè di resistere a condizioni di elevata prova attraverso la relazione verticale. Essa dà un senso ulteriore ad ogni cosa permettendo una prospettiva dall’alto e di scoprire vie inedite.
È perciò che in questo tempo di grave allerta e timore per il futuro, oggi troviamo forza nel celebrare la festa dell’Annunciazione. Celebriamo l’incontro che ha riorientato il cammino dell’umanità verso la meta e ha riconciliato il dialogo tra il Cielo e la terra, cioè ha permesso al dono di Dio di essere accolto da un’umile creatura. Il peccato delle origini infatti era da imputare al rifiuto di suddetta relazione e alla pretesa umana di compiersi da sé, cioè di intendere la vita non come dono ma come possesso e continua autoaffermazione.
Una creatura fragile e di poco valore per la mentalità sociale di allora, è stata visitata da Dio. Ci racconta il Vangelo (1, 26–38) che l’angelo entra nella vita di Maria quando la parente Elisabetta era al sesto mese di gravidanza, un tempo incompiuto e di attesa in una donna che era sterile e perciò, prima di quel momento, incapace di generare. La precarietà di quel tempo, l’ordinarietà di quella ragazza promessa sposa di un falegname, la fragilità di un’anziana donna diventano il segno dell’agire di Dio.
Non si tratta di garanzie altisonanti ma della gratuità del Signore che rivela il Suo agire per amore. Il saluto dato a Maria è già estremamente significativo: “Gioisci graziata”. Esprime il desiderio di bene, di gioia, che il Creatore ha per ogni creatura e chiama Maria indicandola quale colmata della Sua grazia, cioè del Suo amore. Fino a quel momento l’umanità aveva smarrito questa percezione di sé e, a motivo della ferita del peccato, ciascuno andava in cerca di un nome da ottenere per avere riconoscimento.
Dio che nei secoli aveva atteso la risposta dell’umanità ora consegna nuovamente il Suo progetto di riconciliazione ad un’umile ragazza la quale ha tutta la libertà di accogliere o rifiutare la proposta. Maria chiede, entra in dialogo per discernere cosa fare. Non si tratta del dialogo volto alla comprensione di ogni cosa, Maria non comprenderà ma si fiderà aprendosi ad una conoscenza che sarà sempre più approfondita. L’esperienza crescerà e nel mentre lei “serberà tutte quelle cose nel suo cuore”, sarà un processo di custodia che nel tempo le permetterà di rimettere insieme i vari segmenti di una storia di salvezza.
Accade diversamente quando vorremmo leggere tutta la nostra storia a partire da un segmento, da un accadimento che, se assolutizzato, verrebbe a falsare tutta la lettura. Se Maria si fosse fermata alla fuga in Egitto o allo smarrimento di Gesù o, ancora, ai piedi della croce, non avrebbe avuto comprensione di nulla e avrebbe colto soltanto il fallimento della sua esistenza. Lo stesso accadrebbe se volessimo leggere il senso della nostra vita limitandoci alla gravissima pandemia che attualmente stiamo vivendo. È tempo di riflessione, certo, e di rilettura di quel che davvero significa il cammino dell’uomo.
Maria custodirà l’esperienza di ogni giorno e al compimento della Sua vita potrà raccontare ai discepoli e alla chiesa nascente il vero mistero dell’amore di Dio.
In questa scena lei risponde assumendo la postura di chi davvero si riconosce di fronte a Dio: “Eccomi sono la schiava del Signore”. È un rapporto di appartenenza totale: proprio perchè sa di essere legata al Cielo può dare il suo assenso rendendosi disponibile.
“Avvenga di me secondo la tua parola”, è la Parola di Dio a dare senso ad ogni cosa e Maria l’accoglie fidandosi della sua capacità rigenerativa.
Un giorno Gesù parlerà della Parola come di un seme che se accolto in un buon terreno può germogliare e, poi, portare frutto. Maria concependo Gesù vivrà un’esperienza analoga: lei attenderà e nel mentre con Giuseppe custodirà il figlio nella quotidianità di Nazaret. Poi divenuto adulto lo seguirà fino alla croce e continuerà ad attendere fin oltre la morte.
Solo al mattino di Pasqua, dopo che lei avrà consegnato totalmente il dono ricevuto dal Padre, scoprirà che Dio ormai vive pienamente in lei, l’appartenenza nell’amore è totalmente consumata, la sua vita così come quella di ogni cristiano è, ora, vita comunionale.