Agli inizi degli anni Ottanta alcuni demografi americani coniarono il termine “Millennials” per riferirsi ai nati tra gli inizi degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta i quali avrebbero assunto specifici stili di vita tra cui il puntuale ricorso alla chirurgia estetica per non invecchiare precocemente o, almeno, avere la sensazione di un’eterna giovinezza.

Sembrerebbe che ai nostri giorni l’elisir sia perseguito anche dai più giovani considerato che la ricerca dell’immagine per un selfie face perfetto sia al centro dell’inquietudine esistenziale di molti, tanto che il rapporto con l’immagine social sembrerebbe avere mutato perfino la percezione che si ha di sé.

La questione che sta a monte è il modo di abitare il tempo che scorre: percepito o come un graduale deterioramento che strappa via l’occasione della vita o, altrimenti, come un’immersione sempre maggiore nell’avventura della vita simile alla sabbia che lentamente defluisce dalla parte conica superiore di una clessidra fino a colmare l’area sottostante.

Questa è la visione che ricorre nel Vangelo il quale indica il tempo come “finito, compiuto” e ciò non per intendere che non c’è più nulla da fare ma, piuttosto, perché si è già nella pienezza del tempo che non ha nulla da aggiungere a quanto è stato già donato.

Secondo questa prospettiva la vita è scoperta del dono che, per essere conosciuto, va vissuto nella condivisione. Il dono è sempre relazionale, caratteristica del genere umano, e qualora venisse circoscritto o vissuto in modo egoistico si svuoterebbe di significato.

Il valore del tempo, dunque, non è cosa astratta ma molto concreta fino a determinare la qualità della vita di ciascuno. Muore chi entra nell’ottica di farsi pagare il tempo o, ancora, chi lo usa per accumulare o per acquisire potere sul mondo.

Anche gli astri che scandiscono il fluire del tempo e delle stagioni possono essere oggetto di pretesa appropriazione, come nel caso della magia o della religiosità che fa del cielo un modo per ottenere consenso e potere in terra come quando si cerca di dominare l’energia del cosmo attraverso ritualismi propiziatori.

Molti, ancora, sono schiavi di una frenesia lavorativa estenuante che permette di guadagnare sempre più soldi al prezzo di sacrificare la salute e, dunque, il dono della stessa vita.

L’umanità, piuttosto, ha bisogno di dare senso al tempo orientandolo oltre ogni possibile esperienza di morte e, in questo modo, abitandolo con gratitudine e fiducia verso la meta.

Il Vangelo di questa domenica (Mc 13, 24-32) rivela uno scenario che segna la fine di ogni astro e riferimento temporale così inteso. Tutto assume un carattere di precarietà necessaria a svelare il compimento di tutte le cose, “la luce senza tramonto”.

Gesù rivela che anche il tempio con tutta la sua bellezza e maestà verrà meno per lasciare spazio all’unica vera Luce. Quello che dovrà venire meno sarà tutto l’apparato religioso che ruotava attorno al tempio di Gerusalemme e che aveva trasformato la fede d’Israele in una serie di precetti volti a schiavizzare il popolo e ad arrogarsi la pretesa di comandare il pensiero e l’agire di Dio.

Lo scenario apocalittico, dunque, esprime la grammatica della perdita di ogni sovrastruttura che vorrebbe soverchiare il cuore dell’uomo il quale in definitiva è chiamato a poggiare autenticamente la propria esistenza in Dio.

Si tratta della rivelazione di una postura esistenziale che nutre la relazione nel Cielo e, pertanto, può consumarsi nell’amore con fiducia. Non l’amore del vittorioso che ha il successo dell’immagine ma l’amore umile che malgrado le apparenti sconfitte continua a confidare nel bene.

Il sole si oscurerà quando Gesù sarà morente in croce, è in quel momento che appare l’unica vera Luce che genera vita in questo mondo. L’Amore donato sino alla fine è il dono su cui si regge tutta l’umanità. Senza amore non c’è vita, senza dono gratuito verrebbe meno il senso delle cose.

Il tempo è pieno perché già il dono è compiuto nella sua totalità e a ciascuno è dato di lasciarlo vivere attraverso la responsabilità verso il prossimo. Le periferie esistenziali del nostro tempo vanno abitate e permeate di questa luce che fa della vita una relazione che cura e condivide con l’altro.

Il dono è pieno, ora in Cielo e in terra si attende la risposta personale di ciascuno.