di fra Mauro – Alla nascita ciascuno sperimenta il rapporto con la vita attraverso l’accudimento di qualcuno che si prende cura donando nutrimento ed affetto, un duplice cibo che fa da base per percepirsi con un senso in questa vita.
Chi è malnutrito, infatti, comincia col darsi poca importanza e ad aggredire se stesso o l’ambiente circostante o, anocra, a mendicare riconoscimento svilendo l’importanza del proprio esserci.
Un parametro da mantenere, dunque, è che il nutrimento può dirsi tale quando è connotato da relazione amorevole. Senza relazione non c’è cibo che basti e la ricerca personale, in quei casi, diventa una spinta compulsiva consegnando all’oggetto di piacere di turno il compito di consolare ed appagare la propria esistenza. È la dinamica in cui nascono le dipendenze come da cibo, dall’alcol, dal sesso o dal gioco d’azzardo, tutte pratiche che rivelano una piacevolezza che si limita ad un istante per poi retribuire con un vuoto esistenziale sempre maggiore.
Nella relazione di accudimento, comprendiamo, il ruolo genitoriale definisce limiti e significati, e sostiene la fatica dell’attesa dando senso al tempo e al godimento successivo. Senza questo esercizio il piccolo verrebbe schiacciato nell’impulso a divorare cose o cibi perdendo sempre più il gusto e, cosa ancora più grave, spegnendo il desiderio. È il triste scenario che scorgiamo in molti bambini che sommersi da tanti giochi ed attenzioni riemergono strillando per avere ancora altro perchè nulla di quel che hanno attorno, con una certa avidità, riesce a saziarli!
Già nel racconto del peccato riportato in Genesi 3 si evince che il superamento del limite in merito al nutrimento, ferisce il rapporto con Dio e con se stessi. La pretesa di conoscere a prescindere dalla relazione con il Creatore fa sprofondare in un baratro di paura e di inadeguatezza e il genere umano comincia a sperimentare il bisogno di nascondersi e di procuarsi un vestimento per sentirsi adeguato. Si è rotto il rapporto di fiducia, la relazione è ferita e di conseguenza non si comprende quale è il vero cibo.
Nella prima lettura di questa domenica (Es 16, 2ss.) troviamo Israele nel deserto che mormora perchè non si fida della promessa di Dio, nutre nostalgia per il cibo in Egitto dimenticando che quello era stato il prezzo per mantenerli in schiavitù.
È la parabola dell’umanità di tutti i tempi, quando il cibo fa vendere la propria dignità pur di preservrsi la vita da soli. La logica della criminalità organizzata quando prometteva viveri per gli affiliati o, ancora, quella dei politici che elargivano posti di lavoro in cambio di pacchetti di voto da rinnovare in ogni campagna elettorale. È il lucido calcolo delle alleanze tra Paesi a discapito di interi popoli per averne la possibilità di sfruttare risorse e giacimenti. È la mens dell’economia che non tiene conto della salute della gente o dei disastri ambientali pur di fare affari senza limite.
Eppure Israele riceverà un cibo quotidiano durante l’esodo e nel corso del cammino verso la terra promessa imparerà a fidarsi e, dunque, a nutrirsi della relazione con il suo Dio. Fin quando l’essere umano mantiene questa dimensione esodale continua a costruire e nutrire relazioni lasciando perdere ogni nutrimento che potrebbe appesantire o guastare tale cammino. Anche la ricerca ed il senso della vita, altrimenti, ne verrebbe compromesso.
Nella pagina del Vangelo (Gv 6, 24-35), infatti, troviamo le folle che cercano Gesù ma non per stare in relazione con Lui e nutrirsi della sua Parola, ma per mangiare ancora quel pane che poco prima li aveva saziati. Quello era un segno che voleva rimandare ad altro ma loro si erano fermati al pane perdendo il significato di quel che stava accadendo. È come quando tra amici ci si ritrova a cena per stare assieme e qualcuno si immerge nel mangiare isolandosi dal contesto, cioè perdendo l’occasione del relazionarsi con quanti gli stanno attorno.
La ricerca di Gesù abbisogna di chiarificazione, altrimenti potremmo continuare a cercare in Lui quel che non è, quel che non può dare. Dio non crea dipendenze o rapporti di possesso ma relazioni liberanti, è per questo che bisogna diffidare da chi pretende di possedere la Verità!
Gesù non ripeterà il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci ma si farà Lui pane spezzato per nutrire con il suo amore la vita di chi avrà fede in Lui. Non intende dare un cibo che toglie la fame ma un alimento che accende il desiderio del Cielo cioè che apre alla relazione con il Padre. Non si tratta di un appagamento, dunque, ma di un’apertura che mette in cammino, in ricerca verso la meta. È così che la fede cristiana diventa un lasciarsi trasformare sempre più in figli di Dio nutrendosi del Figlio.
È un processo di profonda umanizzazione che inizia col rinunciare a quel che, di fatto, incatena il cammino della vita. Il cristiano ha scoperto una fame altra e questa diventa il motivo della sua esistenza.