Le scoperte scientifiche e, oggi, l’intelligenza artificiale potrebbero farci illudere che la conoscenza sia questione di calcoli e di dati precisamente organizzati secondo il rigore del risultato certo.
Una conoscenza neutrale, incapace di empatia e di gratuità, guidata dalla logica dei profitti, dunque, sembrerebbe orientare l’aspirazione degli uomini contemporanei, desiderosi di manifestare il proprio potere misurabile nella capacità economica e di assoggettamento altrui.
Una mentalità scientista che non considera la relazione con il divino e che, altrimenti, la circoscrive ad un ambito religioso che traduce l’antica dicotomia tra sacro e profano, puro ed impuro. Secondo questa prospettiva ciò che è legato al culto divino è nettamente separato dalla vita concreta, dalla quotidianità che viene organizzata secondo criteri laici privi di sensibilità spirituale.
La conseguenza di questo atteggiamento è visibile nell’individualismo che attraversa la nostra società sempre più incapace di compassione e dono gratuito. Dove il campo visivo è ridotto all’immeditato e al tornaconto di turno, senza capacità di lettura oltre le apparenze e privo di percezione dell’essenziale che abita il profondo di ogni essere umano.
Sembra appropriata, a riguardo, l’espressione che Antoine De Saint-Exupéry – autore del romanzo “Il piccolo principe” – fa pronunciare alla volpe: “E’ molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
L’autore pare ispirarsi alla pagina evangelica di questa domenica (Mc 7, 1-23) in cui si assiste ad una diatriba che i farisei, centrati sulla cura del dettaglio e su innumerevoli pratiche formali, imbastiscono nei confronti di Gesù il quale, diversamente da loro, continua ad agire con la libertà del cuore.
È difficile comprendere questa posizione perché viviamo nella società dell’immagine che privilegia lo sguardo nel percepire l’autenticità delle cose. All’impressione di un momento fissata nello scatto perfetto di uno smartphone, ad esempio, si attribuisce la verità del reale.
La realtà, però, è ben differente ma il poterla raccontare immediatamente attraverso un canale social trasforma quel piano illusorio in una percezione di verità.
In modo analogo l’episodio del Vangelo mostra i giudei che giudicano il dettaglio e quel che appare quale garanzia della presenza di Dio. Non considerano che l’umano è molto di più di una pratica formale e che la relazione con il Cielo è frutto di un’intimità nutrita nel tempo. Loro osservano i discepoli di Gesù prendere il pane con mani “comuni” e cioè non lavate secondo i riti della tradizione. Di fatto, sono mani che accolgono il dono del pane necessario alla sopravvivenza in modo naturale e cioè senza mascheramenti, esse rivelano l’atteggiamento di chi si riconosce bisognoso senza nascondere la propria fragilità.
I giudei, piuttosto, attraverso i loro rituali vorrebbero fare di quel pane un diritto, frutto della propria perfezione, perché integerrimi nell’osservanza dei precetti. Loro focalizzano l’attenzione sul dettaglio di una meticolosa pulizia dimenticando che l’essere umano si scopre nella sua interezza comprensiva di limiti e di capacità inedite.
Questa prospettiva nell’osservare il mondo procura una certa autosufficienza che, implicitamente, erge al di sopra degli altri credendosi giudici di tutto. È un assetto predatorio proprio di chi vuole possedere l’altro e le cose sottomettendole al proprio gradimento.
Gesù contrappone a questo atteggiamento lo sguardo del cuore, proprio di chi si lascia incontrare dal Cielo. Il cuore, infatti, nel linguaggio biblico è sede di tutta la personalità in quanto la conoscenza, gli affetti e i desideri, sono un tutt’uno quando vengono sanati dall’amore di Dio.
La persona riconciliata può aprirsi al mondo con sguardo benevolo come fa il sole quando illumina ciò che è raggiunto dai suoi raggi. La questione non è il buio altrui ma la luce che portiamo dentro!
Il prossimo, altrimenti, diventerebbe il pretesto per la contesa e l’inimicizia o il luogo della conquista per affermare la propria supremazia.
La conoscenza, piuttosto, è questione relazionale e si conosce solo amando. È perciò che Gesù invita all’apertura del cuore per accogliere il Suo dono.
Il cristianesimo, dunque, risolve la pretesa religiosa di tutti i tempi centrata sull’impegno per arrivare ad incontrare Dio. Più che su un’ascesi per giungere a toccare il Cielo, come vorrebbe l’episodio di Babele, la fede poggia sulla spoliazione da ogni apparenza per lasciarsi trovare dal Signore. L’incontro con Lui guarisce e svela la missione a cui ciascuno è chiamato.
La forma, allora, diventa secondaria e l’essenziale viene ad orientare il cammino di ogni credente. Non l’attrattiva del “di più” ma la custodia dell’essenziale che permette di muoversi verso l’altro ed il mondo, in una continua esplorazione mossa dall’amore per l’altro.
La vista, in quel caso, cerca di scorgere l’essenziale nel prossimo non lasciandosi fuorviare dal suo peccato. È lo sguardo di Dio verso ogni creatura, lo sguardo amorevole del Padre verso i suoi figli.
Questo sguardo così come la creatività e l’imprevedibilità, la compassione e il perdono, sono qualità che nessun algoritmo potrebbe preventivare, ogni essere umano è molto di più…