Sono trascorsi pochi giorni da quando un efferato omicidio ha scosso il nostro quartiere e ieri abbiamo anche appreso dell’arresto dei ragazzi della baby gang che da mesi terrificava le serate nel centro storico della Città con aggressioni di inaudita violenza.
Sono molte le domande e le emozioni che ci attraversano ed è necessario cercare chiavi di lettura e non mi riferisco ai moventi ma ai processi umani di cui siamo partecipi, di cui respiriamo la stessa aria e abitiamo gli stessi luoghi. La differenza, nel medesimo contesto, la fa la decisione di ciascuno, la meta che ci prefiggiamo, i valori che scegliamo per orientare il cammino quotidiano.
Se è vero che, troppo spesso, assistiamo a bambini che crescono in realtà precarie per il mancato accudimento dei genitori o per la subcultura che viene trasmessa nell’ottenere riconoscimenti dalla vita anche a prezzo della morte altrui, è altrettanto certo che non possiamo ridurre l’umano ad un fattore contestuale attribuendo la riuscita di ciascuno alla buona sorte che accomuna alcuni e scarta altri.
Anche per le periferie esistenziali del nostro mondo non è possibile utilizzare una chiave ermeneutica lineare come se da una causa dovesse scaturire necessariamente un preciso effetto. Al contempo, però, mi rendo conto che la devianza e la perdita di valori, la povertà educativa e la conseguente dispersione scolastica sono tutti sintomi di un processo sociale di cui siamo tutti responsabili.
L’indifferenza di molti e l’esclusivismo elitario producono scarto umano e nessuno può sentirsi autorizzato ad avallare lo stigma sociale che, oltretutto, avrebbe solo la funzione di aggravare lo stato delle cose. Da dove ripartire dunque? Verso quale traiettoria indirizzare il nostro sguardo?
Il Vangelo di questa domenica (Lc 10, 1 – 20) ci dona una coordinata che destabilizza tutte le nostre precomprensioni e i calcoli strategici: ripartire dall’essenzialità per rimanere in cammino!
Nel mentre che tanti pensano a programmi strutturati e sempre più scientificamente provati per procurare cambiamento, il Vangelo ci chiede di essere essenziali e, così, assumere l’evidenzia della fragilità che accomuna tutti.
Il criterio, dunque, non è l’efficientismo e tantomeno il successo ma il fidarsi del Cielo nonostante la mancanza di risorse e di garanzie. Non bisacce e neppure ricerca di appoggi intrattenendosi nelle amicizie come ad averne un tornaconto, ma costanza nel cammino rivolto verso la meta: è il traguardo cercato, infatti, a dare senso ai propri giorni.
È necessaria una quotidiana semina di bene, fatta di piccole cose, di azioni che trasgrediscono il comune sentire fondato sul pensare solo a se stessi, uno sguardo che parte dall’altro e, in particolare, da quanti sono considerati più piccoli.
Il Maestro, al contempo, ricorda ai discepoli che il gusto della meta è già presente ed è, infatti, motivo di gioia sapere che il proprio nome è scritto in Cielo. Altrimenti si andrebbe alla ricerca di gloria e di riconoscimenti che andrebbero a legare al compromesso o al tornaconto per avere consenso, così come accade nelle alleanze amicali fondate sull’interesse per certi soggetti politici o lobby di potere o, ancora, per le mafie di ogni luogo. La fragilità non può essere mascherata con una scorza di sufficienza o prepotenza, piuttosto va assunta quale tratto del proprio cammino: tutti abbiamo bisogno degli altri, tutti sperimentiamo l’impotenza e la solitudine, tutti soffriamo per la mancanza o la perdita di una persona cara, tutti abbiamo bisogno di sentirci amati e di restituire amore per essere felici.
Nascondere questa evidenzia significherebbe nutrire un sistema che ingenera mali sociali, brame per soddisfare l’illusione di trovare appagamento dalla grandezza e dal potere, o per creare economie attraverso i mali sociali.
Se una piazza di spaccio è molto prolifera c’è da chiedersi da dove vengano le migliaia di consumatori che lì si riforniscono. Se un rione è privato dei basilari servizi pubblici e finanche dell’asilo nido di cui prima disponeva, c’è da chiedersi a cosa serva mantenere una fascia di popolazione in uno stato di così grave povertà educativa e dipendenza dal politico di turno.
Se il sogno di riscatto coltivato da un gruppo non può essere condiviso da chi rimane trincerato in un’area di comfort dovuto allo status economico e culturale, come è possibile generare Città umanamente sostenibili?
Lo sviluppo, infatti, deve essere in grado di assicurare la risposta ai bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di soddisfare i bisogni delle generazioni future. Quale sviluppo stiamo favorendo?
Oggi, prendersi cura dei territori equivale a mantenere uno sguardo illuminato sulla crescita e l’attesa di quanti abiteranno gli stessi luoghi domani. Senza prospettiva non si crea cammino e non si avviano processi che sostengono la reale crescita locale.
Quello che accade, dunque, deve portarci ad una risposta inedita, controcorrente, come una breccia che si apre e permette di scorgere, finalmente, la luce che ci rivela l’oltre verso cui andare. È questo coraggio che il nostro tempo attende da tutti noi, nessuno escluso.