Il cammino dell’uomo procede per approfondimenti e non per accumulo di nozioni o di esperienze. Accumula chi fa della vita un oggetto di consumo come quando gli accadimenti e le persone sono esperite con l’atteggiamento dell’ “usa e getta” e quindi nulla viene realmente conosciuto, ma si rimane su un piano di superficie privo di autentica esperienza. Accumula, ancora, chi vive da “collezionista” e fa del proprio sapere un modo per ergersi al di sopra delle cose e degli altri, chi utilizza la conoscenza per diventare perfetto e, così, sentirsi giudice di ogni cosa.
Approfondisce la vita, invece, chi sa sostare, chi con umiltà ricerca e chiede sapendo di non avere in sé le risposte, chi non accumula conoscenze rimanendo a guardare, chi osa andare oltre le apparenze.
La festa dell’Epifania ci mostra questo modo di stare nelle cose del mondo fino a diventare rivelazione di quello che si crede. Il credente, infatti, manifesta la presenza di un Altro, si compromette nel cammino della vita e, dunque, si apre al legame facendo spazio dentro di sé.
L’esperienza epifanica è frutto dell’amore, privi d’amore non potrebbe esserci cammino, ricerca appassionata sostenendo il silenzio e la solitudine, capacità di mantenere la direzione malgrado le traversie della vita. L’amore genera mancanza e desiderio, tensione verso la meta e, questo, non è da confondersi con la fuga in avanti che astrae dal quotidiano ma immersione per riconoscere i segni della presenza, le tracce di una storia che è abitata da Dio.
Se viviamo troppo distratti potremmo ridurre a nostalgia le giornate d’autunno o svuotarci nell’attraversare le settimane invernali, rischieremmo di vivere con euforia la primavera fino a sfiancarci una volta giunta l’estate. Il sapore dei giorni, piuttosto, è dato dall’essenziale che ciascuna stagione e relazione porta con sé pur mantenendo colori differenti.
Troviamo in questa giornata, ancora segnata dall’aumento esponenziale dei contagi in tutto il Paese, il racconto dei Magi che fin dai ricordi della nostra infanzia porta a compimento le festività natalizie e ricompone i personaggi, ancora in movimento, nei presepi familiari.
I Vangeli narrano di queste figure che dall’oriente si muovono verso Gerusalemme. Loro si intendono di astronomia, scrutano il Creato come un libro che già rimanda al Creatore, sanno che l’esistenza è avvolta nel mistero e dunque cercano risposte. I Magi, allora, si scomodano perché si lasciano questionare dalla stella, non rimangono spettatori esteti come molti che oggi si accontentano di fare belle foto, magari un selfie con la stella, ma senza mettersi in cammino. Loro riconoscono un segno e ciò è sufficiente per abbandonare la loro comfort zone e così lasciarsi guidare.
Camminano nella notte e intuendo la via da seguire arriveranno a Gerusalemme, patria della fede, e lì abbisognano della Parola per comprendere e proseguire il cammino. È interessante notare come sacerdoti e scribi da cultori della Parola sanno spiegare i segni ma questo li mantiene inamovibili spettatori. Studiano per rinforzare il loro piedistallo ma è una conoscenza priva di fascino, non si lasciano attrarre da quello che conoscono.
Ancora più grave è la pretesa di Erode che vuole manipolare la conoscenza e la storia per nutrire la propria brama di potere e di dominio sul popolo, lui arriverà perfino a determinare la strage degli innocenti: è la lucidità buia di chi utilizzerebbe qualsiasi mezzo per raggiungere i propri scopi.
I Magi si affidano alla Parola e, pertanto, giungono alla meta. In loro troviamo l’esperienza del credente che accoglie il dono della Presenza lasciando risuonare intimamente l’amore che si rivela attraverso la Parola. È senza misura la gioia che provano e il prostrarsi dinanzi al bambino è il gesto di comunione più grande: l’accogliere implica il consegnare tutto.
Adora chi è libero di affidarsi totalmente. Pensare che nel Vangelo i primi ad adorare il Signore sono proprio degli stranieri ci lascia intendere che contempla chi si mette umilmente in cammino, e risuona già il “venite e vedete” che Gesù consegnerà ai suoi discepoli.
I tre doni, oro, incenso e mirra, esprimono il desiderio di partecipare alla Sua vita. Quando incontri il Signore non puoi rimanere a guardare: nell’oro sta la ricchezza a cui potrebbe essere consegnata la propria esistenza quando si idolatra qualcosa al posto di Dio, qua viene donato a Lui perché è la fonte di ogni ricchezza e, ancora, l’oro rappresenta il tributo che si riconosce al proprio re e il Magi stanno riconoscendo in Gesù il vero Re e desiderano appartenere al Suo regno; l’incenso veniva offerto dai sacerdoti ed esprime il culto ma anche l’onore e la gloria che si confessa a chi sta innanzi, Lui è l’unico Signore a cui può essere offerta la propria esistenza; infine la mirra, indicata nella Scrittura come il balsamo per lo sposo, esprime il profumo proprio della relazione d’amore e ancora, utilizzato per la sepoltura, indica la causa per cui vivere e dunque consumare i propri giorni fino a morire.
I tre doni, pertanto, simboleggiano la profondità di un rapporto che attraversa tutte le dimensioni della propria vita, credere non è un aspetto parziale ma un affondare il proprio cammino nel Signore. È per questo che torneranno per un’altra strada, non solo per sfuggire al male di Erode ma perché seguono il Signore che li porterà in una via nuova: la loro storia personale, infatti, diventerà epifania del Cielo.