Quest’anno celebriamo un Natale all’insegna dell’impotenza e della fragilità, perchè è una festa che ci chiede conto se stiamo a condividere con i piccoli del mondo. È dal loro punto di vista che si celebra il Natale. Già la preparazione durante l’Avvento ci ha visti approfondire la testimonianza di un uomo, Giovanni Battista, il quale si era ritirato nel deserto perdendo ogni sorta di appoggio e corazza difensiva per annunciare che solo in Dio è possibile trovare riparo e forza di vita.
Ed è in quel contesto che lui riconosce la visita di Dio, quando lo scorge in mezzo alla folla di peccatori, esistenze ferite che desideravano convertirsi, ossia rivolgersi al Bene, per ripartire. Giovanni riconosce la presenza di Dio nella storia partendo da quell’esserci in quel modo, immerso con l’umanità più fragile.
L’Evento del Natale ci mostra tutto ciò: nel tempo della massima potenza di Cesare Augusto quando il divino imperatore aveva indetto un censimento per calcolare le sue forze militari e gli utili fiscali che ne avrebbe potuto trarre ecco che in una località periferica e nascosta nasce il Salvatore del mondo.
Il meticoloso calcolo umano viene destabilizzato dalla imprevedibilità di Dio che sceglie creature senza alcuna visibilità o possibilità di potere, per consegnarsi totalmente al loro “sì”.
L’agire di Dio, comprendiamo bene, non è volto a terrificare l’essere umano attraverso la sua manifesta onnipotenza ma ad entrare in relazione con lui in un rapporto di libera reciprocità.
Maria e Giuseppe sono destabilizzati dalla proposta di Dio ed è così che il Natale entra nelle nostre storie. Lui ci porta da un’altra parte che mai avremmo immaginato, non è una questione di calcoli così come troppo spesso oggi si è soliti fare quando la coppia si chiede se è il caso o meno di concepire un figlio. L’accoglienza di una nuova creatura, infatti, oggi è sempre più subordinata alla valutazione economica ed è pertanto che il numero dei figli si è sempre più assottigliato fino a scomparire in alcune aree del nostro Paese perchè “un figlio costa!”. Oltretutto bisognerebbe approfondire se si tratta soltanto di una valutazione economica o anche dei costi dovuti al dono di sé, in quanto una nuova creatura richiede rinuncia a tanto per farle spazio.
In particolare troviamo Giuseppe che manifesta una duplice fiducia, in Dio e in Maria sua sposa, lui si fida della Parola e disobbedisce all’osservanza della legge. Giuseppe osa disobbedire in forza di un Bene più grande che va oltre la giustizia umana. Il Natale, dunque, spezza ogni sorta di giustizia fondata sulla rivendicazione personale, ciò che conta è il Bene più grande, e la giustizia che ne scaturisce è molto più di quella che potrebbero stabilire giudici onesti.
Maria e Giuseppe partono dalle loro storia concreta colma di tante criticità e rimangono in cammino cercando di custodire il dono di Dio. Dapprima non troveranno alloggio e poi dovranno rifugiarsi in Egitto ma quel che per loro è importante è il potersi prendere cura di Gesù nonostante tutto. A volte siamo così impegnati in tanti improperi e reclami da dimenticarci del dono ricevuto.
Ma è solo lì, mantendo lo sguardo su quel che conta, che l’umanità potrà ritrovare la Luce. E questa è mostrata da un Dio che si è “attendato” in mezzo a noi, cioè è rimasto in cammino nella storia ed è perciò che la sua esistenza terrena va compresa nella sua interezza, altrimenti sarebbe impossibile comprenderne il senso.
Non un frangente soltanto, non il Natale senza la Pasqua, non un gesto senza le parole che Lui ha consegnato. Conoscere Dio significa mettersi alla sequela di Gesù e seguirlo con la propria vita quotidiana. Solo consegnando le proprie resistenze è possibile aprirsi alla Luce che è stata affidata all’umanità di ogni tempo.
La gloria di quella notte sarà la stessa gloria rivelata ai discepoli che seguiranno Gesù e, ancora, sarà la gloria pasquale, proprio quella che passa per la morte. Nel natale Lui sarà “adagiato” sulla mangiatoia e al culmine del suo cammino sarà ugualmente “adagiato” dopo la deposizione dalla croce. Stesso verbo, stesso senso di consegna, è quel che rivela l’incarnazione di Dio.
Non in un palazzo regale troveremo Gesù ma in cammino per le strade della Palestina, è Lui che va tra la gente e si dona fino a farsi pane spezzato. Ciò viene già preannunciato in quella mangiatoia, venuto per farsi cibo amerà l’umanità sino alla fine ricambiando l’inimicizia con l’amicizia e, dunque, il perdono. È la legge di Dio che ci viene annunciata in questo giorno, è la gloria che dà un valore inedito all’esistenza di ogni essere umano creato per vivere della Luce del Cielo.
È perciò che quest’anno desideriamo guardare il Natale con gli occhi di Marco di 14 anni che con immenso stupore è rimasto ad ammirare l’altare della nostra parrocchia dopo avervi diligentemente sistemato la sacra famiglia. Con gli occhi di Guido che al momento segue la celebrazione dall’ospedale e con fiducia in Dio sta lottando contro una grave malattia ma, prima di tutto, sta mantenendo lo sguardo verso il centro di tutto: il Signore che dà senso ad ogni cosa. Con gli occhi dei bambini che ieri pomeriggio hanno ricevuto i regali e la festa in fattoria, dove alla sorpresa per i doni si aggiungeva la gioia del sentirsi pensati e custoditi dalla Comunità. Ma abbiamo bisogno pure dello sguardo di tanti poveri che bussano alla porta della nostra parrocchia e che con commozione ritirano i viveri per una mensa più decorosa che, sappiamo bene, vivranno nella solitudine del mondo, perchè quando non hai un valore economico ossia la dignità di un lavoro, sperimenti una emarginazione quasi totale.
Andiamo incontro al Natale anche con lo sguardo di Gaetano che oggi per la prima volta trascorrerà il Natale nel carcere minorile di Palermo. Lui che aveva aderito a sogni di grandezza proposti dal mondo adulto e che ora si ritrova a non potere condividere il gusto della libertà e delle relazioni con le persone care.
Con lo sguardo disilluso, ma che non demorde, delle donne di piazza Danisinni a cui avevamo promesso che nel giro di pochi sarebbero iniziati i lavori in vista della ristrutturazione della Maternità ed invece tutto resta inesorabilmente abbandonato, dimenticato, e sono trascorsi già 12 anni!
Lo sguardo che ci permette di celebrare il Natale è fatto di gioia per il dono non meritato, di fiducia nel Bene che è la vita, di consolazione perchè siamo figli del Padre, di attesa e ripensamento rispetto al bisogno di senso che abbiamo per andare avanti. È possibile vivere il Natale solo scoprendo il punto di vista dei piccoli. Buon Natale.