Domenica sarà un giorno speciale per la Comunità di Danisinni. La Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, ricorda la storia della nostra Chiesa e, dunque, della Confraternita che la abita fin dal 1700, piccola chiesa domestica annidata nell’enclave di Danisinni. Luogo del nascondimento e della rivelazione, della piccolezza e della continua rinascita, luogo di resilienza capace di rialzarsi dalle macerie e dai mali che opprimono la nostra società. E questo non per meriti particolari ma perché custodiamo l’esperienza della fede e del riconoscersi famiglia di Dio.
La Santa Famiglia è la festa della fede, della relazione filiale, la festa di chi sa che non può centrare la propria esistenza su se stesso. Gesù, Maria e Giuseppe sono resi famiglia dal Padre, è Lui ad avere rivolto il Suo sguardo su di loro e ad avere trovato risposta ad un disegno che li ha portati a diventare dono non solo per se stessi ma per l’umanità intera.
Il fatto che Dio abbia scelto una famiglia per rivelarsi pienamente è fondamentale. Non si tratta del familismo delle cosche o delle logge del potere occulto dove i legami e i patti di sangue sono funzionali a mantenere i propri interessi a discapito di altri, piuttosto, qua si intende la famiglia capace di amore gratuito, di interesse solidale per l’umanità ferita, di senso di responsabilità per l’altro fino a difenderne i diritti e la dignità pagando in prima persona.
Quando accogli l’amore del Cielo ed entri a fare parte della famiglia di Dio non puoi più tirarti indietro, non puoi rimanere spettatore indifferente ma la tua identità e i tuoi giorni sono compromessi nella missione di Bene che Dio desidera realizzare con l’umanità tutta. Ed è pertanto che conosciamo la Santa Famiglia osservandone il cammino quotidiano.
Li troviamo subito in movimento, prima da Nazaret a Betlemme, poi a Gerusalemme e quindi in Egitto dove dovranno rifugiarsi. Poi, nuovamente, a Nazaret per un lungo tempo di vita familiare segnato in particolare da un viaggio a Gerusalemme in cui Gesù svelerà che deve occuparsi delle cose del Padre suo e, cioè, annuncerà la sua missione e la relazione di ascolto del Padre che, pure, Maria e Giuseppe saranno chiamati a nutrire. Successivamente il ministero pubblico porterà Gesù, seguito da Maria, nei villaggi della Palestina e in ultimo a Gerusalemme dove sarà crocifisso. È importante questo continuo esodo che vivrà la famiglia di Nazaret, è l’esilio del discepolo che è chiamato ad approfondire la relazione con Dio senza arroccarsi in posizioni di conquista ma in continua consegna perché l’unico rifugio è Lui.
Ciò non significa smarrirsi o percepirsi ancora più vulnerabili, ma affondare la propria esistenza nell’unica radice vitale: la relazione col Cielo. È questa relazione che guidò Abramo nel primo esodo, la certezza di una promessa che gli indicava la possibilità di una discendenza numerosa come le stelle del firmamento e garantita solo dalla Parola di Dio. Una discendenza di cui non poté avere rivendicazione alcuna ed è perciò che Isacco fu presentato a Dio perché era dono e non oggetto di conquista.
La fede apre ad una relazione comunionale, in cui l’altro è accolto e non generato. Genitori, infatti, si diventa perché si ama e non per processo biologico di procreazione. Molti hanno tanti figli anche se non hanno trasmesso loro la vita, piuttosto li hanno accolti con cura e restituiti ad un progetto inedito e personale. La famiglia nasce e cresce secondo la vita comunionale e il nostro tempo ha bisogno di ritrovare il senso delle relazioni che ha poco a che fare con la proprietà o il tornaconto personale. Stare in relazione è possibile solo nella misura del dono gratuito ed è quanto ci rivela il continuo esodo della famiglia di Nazaret.
Pensiamo a Giuseppe il quale si trovò disarmato di fronte a un progetto umanamente incomprensibile, nel senso che squalificava l’affermazione del proprio ego. Prima il concepimento di Maria e poi la minaccia di Erode e la fuga in Egitto, eventi che potevano diventare motivo di profonda umiliazione ed invece portarono Giuseppe ad affidarsi. È nel momento dell’impotenza che si gioca la grandezza della fede, lì siamo chiamati a rimanere in relazione e in ascolto del Cielo, in attesa della Parola che guida il nostro cammino.
Maria e Giuseppe si prenderanno cura di Gesù con il fare proprio del credente. Ciascuno è chiamato a vivere la propria missione rimanendo discepolo ed è per questo che anche loro impareranno a mettere da parte le loro pretese, “tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48), e a serbare tutte quelle cose nel segreto. Si tratta della custodia del cuore, propria della vita spirituale, che permette di curare il dono di Dio permettendone la crescita.
Giuseppe il falegname lavorerà per sostenere la famiglia e tale quotidiano diventerà luogo di nutrimento e cura, spazio relazionale funzionale a dare corpo e vita al figlio Gesù. La festa di oggi sembra restituire dignità al lavoro umile e quotidiano, ai rapporti familiari che nutrono per l’esserci gli uni per gli altri.
La novità più grande che contempla la famiglia di Nazaret, è che il loro figlio è Dio che si consegna totalmente al genere umano e attraverso questa accoglienza si farà Lui stesso nutrimento. Misterioso scambio che appartiene alla vita di tutti noi, Lui chiede di essere accolto e questa apertura fa della nostra esistenza vita divina.
Torniamo a visitare le varie scene plastiche della Santa Famiglia realizzate in piazza Danisinni, in chiesa e in fattoria, per ammirare il mistero d’amore il quale non è d’altri tempi ma che andando oltre le apparenze è possibile riconoscere, ancora oggi, attorno e presso di noi.