La vita spesso ci trova impreparati, incapaci di prevedere gli accadimenti prossimi, disorientati da eventi che sembrano fare crollare ogni aspettativa e speranza rivolta al futuro. Tutto questo destabilizza svelando la precarietà delle certezze e, a volte, consegna ad una paura diffusa mista a senso di solitudine.
Siamo tutti precari in questo mondo ma non è questo il punto, la differenza è data dalla meta che orienta il nostro cammino perché potremmo continuare a perseguire una illusoria speranza di immortalità fondata su noi stessi o sui possessi di cui disponiamo o, ancora, sul potere esibito di fronte a chi ci circonda. Tutti espedienti che lasciano inermi e disperati di fronte alle diverse prove e, in ultimo, alla morte.
Eppure nel Vangelo della notte di Pasqua troviamo due donne che si lasciano orientare dall’amore e cioè dall’esperienza di perdono gratuito scaturita dall’incontro con Gesù. Neppure di fronte all’evidenzia della morte si fermano, affrontano il dolore e cioè la fragilità che scaturisce dall’amore e si recano al sepolcro almeno per versare le lacrime sul corpo inerme dell’amato, un gesto di custodia apparentemente insignificante ma che rivela l’incomprensibile eternità dell’amore.
Non sono chiuse nel risentimento e neppure nella paura di quello che è successo al Maestro, sebbene avessero visto fallire, apparentemente, il Bene che Gesù aveva compiuto. Loro non si tirano indietro ma rimangono a cercare aldilà della comprensione dei fatti.
Celebra la Pasqua chi non si ferma alla logica delle apparenze e chi non fa dell’amore un possesso. Spesso si equivoca l’amore per l’altro con la realizzazione delle proprie aspettative, ma l’amore è dono gratuito perché altrimenti non sarebbe possibile perdonare il nemico come Gesù rivela.
Con i loro occhi hanno visto crescere, nella testimonianza del Maestro, la logica del dono di chi fa spazio all’altro nascondendo se stesso. Tutta l’incarnazione di Dio mostra come Lui si nasconda nella fragilità per consegnarsi totalmente e proprio lo scandalo della croce indica il compimento di questa umiliazione che lo rende ultimo di fronte all’umanità tutta.
A differenza dei discepoli che sono fuggiti, dunque, due donne affrontano la morte non fermandosi dinanzi alla sconfitta. Loro, rimanendo in cammino verso il sepolcro, hanno ascoltato il desiderio di Dio più che la paura della morte che paralizza lasciando ripiegati sul passato. È allora che l’inaspettato può agire e la Pasqua, quale passaggio alla vita nuova, può compiersi nelle loro esistenze.
L’intimo diventa esperienza del Cielo e la gioia interiore con cui portano il lieto annuncio lo manifesta. Raccontano come della tomba vuota e dell’incontro con il Risorto.
Vengono riletti i fatti e di come il consumarsi sino alla fine per amore porta frutto, perché chi muore per l’altro non rimane solo ma entra nella comunione con il Cielo. Quest’anno ricorre il trentennale del martirio di padre Pino Puglisi e ancora una volta risuona il mandato evangelico “Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto”, a ciascuno è dato di partecipare alla Pasqua del Signore.
La rilettura della storia, però, è possibile solo se si parte dall’incontro con Lui e non più da se stessi. Bisogna essere consapevoli di essere perduti, di fronte al sepolcro vuoto, per lasciarsi salvare dal Signore.
L’umanità contemporanea sembra, piuttosto, rassegnarsi ad una logica di sopravvivenza dove ciascuno cerca di salvare se stesso attraverso calcoli e indifferenze che creano sempre nuove povertà e discriminazioni. Le schiavitù dei nostri giorni ci vedono tutti responsabili quando preferiamo stare dalla parte del più forte e della convenienza del momento. La Chiesa non può avere paura della persecuzione o del perdere qualcosa, ciò equivarrebbe a dire che la Pasqua non ha potere sul male di questo mondo.
L’anno che abbiamo appena inciso sul cero pasquale, invece, indica che questi 2023 anni sono stati colmati dalla luce pasquale, è un tempo nuovo quello che l’umanità sta attraversando lungo i secoli malgrado le innumerevoli guerre e gli abomini che si sono avvicendati. Pasqua è vivere di Cristo, camminare con Lui anche nell’ombra della notte del male, certi di essere portati oltre.
La Resurrezione è controtendenza, lo comprendiamo bene, molti cercano la garanzia del vivere negli appagamenti compulsivi di questo mondo e questo genera continui sepolcri interiori, vesti apparenti che celano vissuti di morte. L’osare della fede, piuttosto, chiede il coraggio di lasciare rotolare via le pietre sepolcrali che mascherano la nostra povertà e da lì affrontare a piene mani la missione della vita.
La Luce di questa notte rivela che le fragilità umane possono essere il luogo dell’incontro con il Signore, Lui che è sceso fino alle oscurità più gravi per tirarci fuori e restituirci a vita nuova, capaci di rivelare nel quotidiano la nostra identità di figli di Dio. A ciascuno la responsabilità di condividere il bene di cui ha bisogno il nostro mondo.
Risuonano intensamente le parole che ci ha consegnato don Pino Puglisi: “Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo Amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo”.