Maturare prospettive dall’alto è ben diverso dall’idealizzare persone o programmi di vita, queste sarebbero alienanti ma la visione dall’alto permette di stare nel quotidiano leggendo il senso della storia che volge verso la meta.
Oggi abbiamo bisogno di nutrire visioni e non di leader che, in modo seduttivo e ipnotico, cercano di assoggettare chi sta loro attorno per propinare ideologie a cui aderire. La ricerca di testimoni autorevoli, piuttosto, ha valore se il testimone rivela un orizzonte di senso, altro da sé, manifestandolo nella vita di ogni giorno più che con le parole.
Il rischio attuale, infatti, è proprio quello di fondare programmi di vita su parole astratte, magari delegando persone particolarmente efficaci sul piano comunicativo o influencer che hanno fatto della propria immagine il culto altrui.
Assistiamo, dunque, come ad una spinta volta a spegnere il pensiero critico e ad omologare la cultura su standard di superficie che legittimano ogni tipo di violenza verbale e di esclusione sociale, eliminando chi osa manifestare dissenso con una prospettiva critica.
La visione, piuttosto, matura attraverso la capacità di un pensiero divergente che va oltre le apparenze e persegue la profondità della vita. Senza visione non si sostiene la fatica del legame, non si rimane fedeli all’amicizia, viene meno la parola data e i valori di riferimento vengono cambiati a seconda delle opportunità. Priva di visione la politica agisce per segmenti disperdendo le innumerevoli risorse in progetti a breve durata e privi di reale sviluppo territoriale.
Per camminare insieme, come esplicita il cammino sinodale, è necessario perseguire una visione comunionale dove il bene comune viene anteposto a quello individuale traducendosi in dono gratuito e capacità di accoglienza delle reciproche fragilità. L’esistenza, che rimane povera di visione, finisce col ridursi ad una continua rivendicazione concludendo che ci sono sempre buone ragioni per dominare l’altro.
La pagina del Vangelo (Mt 17, 1 – 9) di questa domenica ci porta in alto per immetterci nella visione cristiana. Tra i tre discepoli chiamati in disparte c’è pure Pietro il quale, pochi giorni prima dell’evento della trasfigurazione, aveva rimproverato il Maestro pretendendo di fargli cambiare itinerario, considerato che Gesù aveva preannunciato che di lì a poco sarebbe passato per la prova della tribolazione e, a seguire, al dono totale sulla croce.
Una prospettiva che demitizzava il Figlio di Dio, rendendolo fratello nel cammino della vita e, così, capace di rivelare non solo il dono personale ma anche quello del Padre che, per amore dell’umanità, era disposto a consegnare il Figlio amato.
I discepoli, per seguire il Maestro, erano dunque chiamati a rinunciare alle armi della forza e del potere per sperimentare una fiducia totale nel Padre che li avrebbe portati anche oltre la morte. La ribellione interiore di Pietro, in realtà, continuerà fino al Getsemani quando, ancora, sarà pronto ad armeggiare con la spada per difendere Gesù. Ma, anche in quell’occasione, non gli sarà concesso.
È di una visione inedita che i discepoli abbisognano e ora, ritirati sul monte, Dio dona loro la possibilità di vedere oltre le apparenze. Gesù appare trasfigurato, i loro occhi hanno un modo differente di vedere, e ascoltano Mosè ed Elia, cioè la Legge e i Profeti, che trovano compimento nella luce di Gesù.
Molti, oggi, vanno dietro a percorsi meditativi per arrivare all’illuminazione ma quella rimane autocentrata seppure aperta all’energia cosmica. Qua, invece, i discepoli entrano in relazione con il Tu divino, scoprono la comunione che lega la storia antica a Gesù e Lui al Padre. Dunque diventano partecipi di una relazione che fa sperimentare loro la dolcezza del Cielo.
I discepoli, di ieri e di sempre, potranno entrare appieno in questa intima relazione quando lasceranno cadere precomprensioni e calcoli progettuali. La luce, altrimenti, non potrebbe accordarsi con la rivelazione della passione, morte e resurrezione del Maestro.
L’ascolto, dunque, li riporta all’esodo che si sarebbe compiuto in Gerusalemme, al racconto che Pietro, poco prima, aveva rifiutato. Dinanzi a simile esperienza di bellezza e di comunione l’apostolo propone di attendarsi senza più andare oltre. Ancora rischia di idealizzare ma il percorso descritto necessiterà di entrare nella storia senza alcuna possibilità di fuga.
Su un’altra altezza, quella delle tentazioni, era già stata proposta una via alternativa ora forzando l’intervento del Padre e così dimostrare la propria gloria, ora per ergersi ed avere potere e, questo, a condizione di perdere la figliolanza.
La relazione filiale, piuttosto, costituisce la novità per camminare andando oltre le apparenze e le suggestioni della vita. Solo da figli è possibile mantenere l’ascolto fiducioso e proseguire il cammino superando le prove disseminate lungo il quotidiano. Ciascuno vive della promessa che custodisce nel cuore.