“Disattenzione civile”, così viene chiamato il formalismo dei nostri giorni dove il rispetto reciproco e lo scorrere su binari paralleli fa incrociare le persone, anche tutti i giorni, senza mai incontrarsi.
Sostare e interessarsi per la vita dell’interlocutore a prescindere dal lavoro o dagli impegni che assolve è considerato eccessivo, un’invasività da contenere ed evitare.
Il tempo del calcolo e della tecnica, quale prolungamento dell’identità personale, non ammette intromissioni di carattere umano quali la spontanietà, la commozione o il rivelare la propria fragilità. Tutto deve sottostare ad un ligio programma d’immagine che, sappiamo bene, rende sempre più soli.
I rapporti formali, infatti, non nutrono, sono solo apparenza e non procurano gioia o pienezza di vita. Sovente, piuttosto, suscitano irritazione e pesantezza del vivere basata ora sull’evitamento ora sul compiacimento.
Uscire dal formalismo, piuttosto, equivale a sporcarsi le mani e il volto, a non restare neutrali come se questo equivalesse ad essere integerrimi. Quanto ti scopri contaminato ecco che porti dentro di te qualcosa dell’altro e te ne accorgi: gli altri ti associano e, magari, denigrano perchè suo amico. Quante storie di bullismo tra i banchi di scuola o di mobbing a lavoro perchè non ci si allinea sul piano della convenienza di turno discriminando o tacendo quel che, invece, va denunciato!
Tutto ciò, oggi, è ancora più complesso perchè le esperienze sono state separate dai luoghi e un monitor rende possibile esprimere riconoscimenti e messaggi ma questi, di fatto, non sono verificabili con un rapporto vis a vis.
Grandi parole, pertanto, non sempre esprimono il loro reale significato; assistiamo ad una inflazione di parole che rischia di renderci sempre più mascherati.
Meditiamo nella pagina del Vangelo di oggi (Mc 10, 17-30), che il chinarsi di Dio sull’umanità smonta ogni possibile logica formale. Lui si china per prendere carne umana e mostrare il Suo volto attraverso il volto umano. Non si tratta del volto proprio della bellezza di superficie ma del volto trasfigurato dall’amore e dalla capacità di donazione senza misura.
Un giorno un giovane, correndo, si accostò a Gesù chiedendogli cosa doveva fare per ereditare la vita eterna. Chiedeva circa la comunione con Dio, la sua casa e pertanto come riuscire a vivere l’intimità con Lui, ma ne parlava in termini di conquista, attraverso il suo fare. Un figlio, diversamente, è e non ha bisogno di dimostrarlo, il riconoscersi figli rende fecondi perchè ricchi di una relazione che fonda il proprio esistere.
È il paradosso umano, pretendere di ottenere bellezza attraverso l’autogenerazione. Un’altra faccia dell’individualismo moderno che confida sull’autoaffermazione senza ammettere la possibilità del dono e, dunque, del non essere autosufficiente. Il nostro tempo, anche per questo, non ammette paternità e ha scomotizzato tutto ciò che si riferisce ad interiorità o relazione verticale, l’individuo deve rimanere autoreferenziale e, in questo modo, totalmente vulnerabile.
Quel giovane pretendeva di accorciare le distanze, pensava il Cielo a portata di mano, sotto il suo potere. La sua corsa denunciava l’ansia di prestazione, la fretta a dovere trovare una soluzione, una ricetta per possedere. Sì, una parte di umanità ritiene di potere “possedere” perfino il Cielo!
La questione è ben diversa, mostrerà Gesù al suo interlocutore, non è basata sulle regole da osservare o sui bonus premio da ottenere per arrivare sempre più in alto.
Gesù lo guarderà amandolo, rivelandogli così che il punto di partenza è sempre l’amore. Il chinarsi di Dio è mosso dalla compassione ed è questa che eleva la creatura. Senza senso del mistero, senza capacità di distanza per contemplare questo movimento tutto è dato per scontato, e la profondità è scambiata per la coincidenza fusionale. È nella mancanza che scopri il valore dell’altro, è nell’attesa che matura la relazione con l’Altro e la percezione di chi si è di fronte a Lui.
Tale senso del mistero restituisce sacralità alla vita umana, ad ogni vita umana, altrimenti anche i più alti valori rischierebbero di essere strumentalizzati dalla brama di autoaffermazione o dalla mercificazione del sé, dove tutto è valutato in termini quantitativi e di profitto.
Oggi il nostro pensiero va a Mimmo Lucano, sindaco di Riace, che sentiamo vicino. Uomo che si è spogliato del “ruolo” e ha riconosciuto l’identità di tanti che avevano bisogno di accoglienza. E’ anche di questa povertà che parla il Vangelo di oggi, se rimani legato a tanti vincoli e formalismi non riesci a vedere, giudichi e tiri dritto, sei troppo pieno di te. Se sei povero, sosti e vedi!
Mimmo ha solo dato un tratto umano alla residenza dei richiedenti asilo politico e alla loro integrazione nel territorio. Alcuni, ad esempio, sono stati accolti per un periodo più lungo rispetto a quanto preventivato dalle ordinanze ministeriali e ciò a motivo della fragilità degli ospiti che ancora non erano pronti ad inserirsi autonomamente nel mondo sociale. La vita, comprendiamo bene, è questione di ascolto…