Il pensiero sociopolitico contemporaneo nel campo educativo rischia una deriva interventista che non trasforma le emergenze in priorità, per una visione progettuale che vada oltre il sintomo immediato, ma rimane schiacciato su un piano repressivo e punitivo che, alla fine, risulta infruttuoso per il contrasto alla povertà educativa e al disagio giovanile.
Parafrasando don Lorenzo Milani, di cui ricorre il centenario della nascita, se la società perde i ragazzi marginalizzati allora non è più una società democratica ma di privilegiati.
Che il potere non appartenga più al popolo ma alle lobby economiche è un sospetto assai diffuso nel nostro Paese e l’inasprimento degli interventi rivela l’assenza di processi democratici volti a fronteggiare i fenomeni contemporanei. Ad esempio i gruppi di interesse hanno determinato la capillare apertura di sale per il gioco d’azzardo e, di conseguenza, la diffusione esponenziale della dipendenza da gioco che ha delle ricadute devastanti sul tessuto familiare e sulla salute psicologica dei piccoli. Ma questo è solo uno dei tanti esempi che rivelano come non si vogliano mettere in campo azioni di prevenzione per il benessere sociale perché ciò significherebbe contrastare la finanza che, piuttosto, pare regnare sovrana sulla politica.
A trent’anni dall’assassinio di padre Pino Puglisi per vile mano mafiosa, dunque, emerge l’urgenza di nuove strategie d’intervento per difendere il futuro dei minori delle periferie delle nostre città. L’opera di don Puglisi era sostenuta da un attento piano educativo volto ad appoggiare i progetti di riscatto e di crescita dei ragazzi dei territori più degradati che, altrimenti, sarebbero stati fuorviati dalla criminalità organizzata. La cura spirituale, infatti, per lui partiva dalla custodia della loro crescita promuovendo centri educativi e aree di socializzazione come quelle sportive.
Un’intuizione che rimane profetica oggi, per cui non si può rimanere sul mero piano celebrativo come se la memoria del passato fosse sufficiente ad avviare processi evolutivi. Questa, piuttosto, abbisogna di una nuova primavera educativa mossa da educatori ed operatori di strada capaci di sostenere ed accompagnare l’agire educativo con uno stile di prossimità evangelica. Un investimento significativo che dovrebbe coinvolgere tutte le agenzie educative quali la scuola, gli enti del terzo settore, le parrocchie e tutte le realtà informali vicine ai giovani. Ma di questa riflessione per un rinnovato agire educativo la politica non sta dando alcun segnale!
È la lezione pedagogica che ci viene dalla pagina del Vangelo di oggi (Mt 18, 15-20) quando Gesù, subito dopo avere raccontato dell’uomo che va in cerca della pecora smarrita lasciando le novantanove per trovarla, dice di come prendersi cura di chi si fa male e cioè commette una colpa. L’unico intervento efficace deve muovere da un assetto di fraternità e cioè muoversi verso l’altro per guadagnare il fratello e, quindi, permettergli di riscoprire il volto del Padre.
Non si tratta di punirlo per creare una sottomissione ma di un convincerlo sulla errata direzione per restituirgli la dignità della vita. L’invito del Maestro è a non desistere e a continuare ad interessarsi malgrado le resistenze, coinvolgendo tutta la comunità in modo crescente al fine di dialogare e pregare e quindi continuare ad amare nonostante tutto.
La proposta evangelica interpella tutti perché custodisce dal ricorrere al male per contrastare il male. L’unica arma plausibile è quella dell’amore che procura interesse ed attesa rimanendo in relazione.
Alla fine, constatata l’ostinazione, la scelta è quella di trattare colui che sbaglia “come un pagano e un pubblicano” e cioè avendone particolare cura perché più fragile e dunque particolarmente bisognoso.
La postura pedagogica cristiana assunta da don Lorenzo Milani o don Pino Puglisi, non è affatto un buonismo minimalista, piuttosto è l’esporsi della fede custodita da chi non può rassegnarsi alle ingiustizie del nostro mondo. È la lotta per riscattare il volto di chi ha smarrito la speranza abbrutendo la propria esistenza.
Significa avvicinarsi da fratelli, e non da giudici paternalisti, permettendo di aprire il cuore fino al pentimento. L’obiettivo non è la repressione ma la riconciliazione e cioè quello di restituire la capacità di comunione persa per l’illusione competitiva ed egoica propria dell’individualismo.
Ora la riflessione torna al mondo adulto che, di fatto, segue una spinta altamente performativa per riconoscere dignità e diritti escludendo dal tessuto sociale chi è più fragile. Se la società adulta perde la sua bellezza mancando di fascino e d’amore, allora facilmente le nuove generazioni saranno restie a farne parte e, certo, non si innescherà la nostalgia del bene lasciato.
La crisi del mondo giovanile, dunque, è in primo luogo crisi del mondo adulto il quale si rivela sempre più distratto e frastornato, non curante dei bisogni relazionali dei più piccoli.
Nel Vangelo Cristo è indicato come amico dei pubblicani e dei pagani perché non c’è più nessuno che rimane escluso. È di questa amicizia sociale che dobbiamo tornare a parlare ed è su tale coordinata che deve muoversi una rinnovata formazione, una scuola capace di generare maestri di umanità, cittadini che hanno a cuore il mondo che li circonda.