Custodire la giustizia è responsabilità di tutti ma, questo, non significa scadere in una sorta di giustizialismo sommario o, ancora, nella superba postura di chi si crede ‘giusto’.
Si tratta, piuttosto, della difesa dei diritti di tutti e del contrasto anche di quelle ingiustizie che sovente rimangono celate perché riguardano i piccoli di questo mondo di cui solo pochi si interessano.
Nei giorni passati a Danisinni è stata inaugurata un’impresa sociale di agricoltori e manutentori che ha inteso restituire volto a quanti, ingiustamente, rimanevano scartati dal circuito lavorativo. Cinque persone a cui veniva precluso il diritto al futuro: due perché con precedenti penali, uno per l’età avanzata e altri due perché privi di esperienza per la giovane età.
Per la Comunità di Danisinni il sentirsi responsabili, dunque, ha comportato il mettersi in gioco facendosi compagni di cammino per condividere e difendere diritti e doveri di ciascuno. Ha significato, anche, aprirsi a quel ‘di più’ che non è richiesto da nessuno e che rende il genere umano speciale perché capace di prossimità e gratuità fino a rimetterci qualcosa di proprio.
La Parola che ci viene consegnata in questa domenica parla della custodia necessaria nel cammino per vivere una giustizia superiore frutto di una visione integrale della Scrittura. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di diventare legalisti e formali scivolando in una religiosità fatta di pratiche volte a sentirsi a posto di fronte a Dio e al prossimo. Questo modo di fare, denuncerà il Vangelo, genera ipocrisia e superbia impedendo ogni possibilità di dono.
Nel Vangelo (Mt 5, 17-37) vengono proposte sei antitesi che non si contrappongono ai precetti di prima ma li estendono a un senso pieno, perché quando si tratta dell’amore non si sta a misurare secondo un criterio quantitativo ma si entra nella qualità delle relazioni dove i conti, certamente, non tornano.
Il comando di “non uccidere”, ad esempio, non si limita all’atto della violenza fisica ma anche alle radici da cui muove ogni agito e cioè il disprezzo dell’altro, la brama di competizione e la superbia che si trama nel cuore.
La parola così come lo sguardo sono denunciati quando sono strumenti per ferire o per imprigionare. Ci sono parole e sguardi che uccidono così come, parole e sguardi, possono essere usati per ricattare e sedurre, per ammaliare e per soggiogare l’interlocutore.
Gesù invita ad un linguaggio sobrio proprio perché così ci si custodisce da ogni possibile ambivalenza e macchinazione. La sobrietà apre alla fedeltà e il cuore fedele è un cuore che ama e non tradisce quando si sente umiliato o non gratificato.
La fede stessa è espressione di questa fiducia che permette di attraversare le prove della vita senza mai dubitare della presenza di Dio.
L’umanità che calcola, invece, vorrebbe dare un prezzo anche al Cielo, ricattando pure il Signore e cioè chiedendo prova del Suo amore!
L’agire di Dio, diversamente, non sta a misurare il contraccambio umano ma rimane fedele alla Sua promessa e al desiderio di donarsi senza misura. È questo il processo rigenerativo in cui siamo chiamati ad entrare per essere pienamente custoditi nella luce.
Tornando alla piccola esperienza dei giorni appena trascorsi, la Comunità di Danisinni ha inteso offrire ai cinque lavoratori un’esperienza di fraternità in cui il dono gratuito fondato sulla fiducia nelle persone, genera legami che non equivalgono a sottomissione o a vincoli di potere ma sono fondati sulla stima e sulla generosità reciproca.
La Comunità di Danisinni, offrendo i luoghi e i beni strumentali, ha inteso educare alla autonomia e ha proposto un differente modello di impresa sociale dove non è la proprietà esclusiva a garantire il processo ma l’interscambio tra i soggetti coinvolti e la responsabilità condivisa.
Custodire il lavoro dei piccoli per restituire umanità è una delle tante espressioni di giustizia che, ancora oggi, attendono risposta in questo mondo.