Siamo troppo abituati a giudicare l’esistenza umana in termini di successo e di apparente perfezione. Ma il vivere è molto di più ed è impossibile definirlo nell’alveo di un cliché formale in cui l’impeccabile linearità diventa criterio di verifica.
Nel cammino si cade e ci si rialza, ci si appoggia e a tratti si diventa supporto gli uni per gli altri o, ancora, ci sono periodi in cui si attraversa la solitudine del deserto ma, certo, ogni passo porta oltre. È la perseveranza nel cammino ad esprimere il senso di una vita e la fiducia con cui si affronta il quotidiano diventa possibilità di cambiamento e di costruzione di un cammino comunitario. Sì, perchè a ciascuno è dato di camminare insieme al prossimo e mai l’esistenza è fruttuosa quando si vive per se stessi. Quello rimarrebbe un percorso implosivo e del tutto sterile: un’esistenza sciupata!
Oggi la parabola della vita viene illuminata dalla esperienza di una donna, una ragazza vissuta duemila anni fa e alla quale viene chiesto di fidarsi ed accogliere il dono di Dio.
La festa dell’Immacolata concezione ci rivela quanto ciascuno stia nel pensiero di Dio sin dall’eternità e quanto è grande il Suo desiderio di condividere tutto con l’umana creatura. È la parabola discendente di un Dio che riparte dalla periferia, tale è Nazaret, e ancora dalla periferia esistenziale, almeno secondo i criteri di importanza propri dell’impero per il quale una ragazza di un luogo misconosciuto non portava alcun valore.
Lei si scopre profondamente amata e con il suo “Sì” risponderà alla chiamata dell’amore. Non si approprierà del dono ricevuto, ne rimarrà custode e sosterrà la fatica del continuo restituire al Padre quel Figlio che non le appartiene.
La troveremo insieme al suo sposo catapultata in Egitto per custodirLo o angosciata alla ricerca di Gesù rimasto a Gerusalemme per adempiere alla missione del Padre. E, ancora, la troveremo a seguirLo nei villaggi scorgendo che quell’annuncio più volte viene respinto con la minaccia di morte. Infine arriverà ai piedi della croce e lì sosterrà la fatica di una relazione che pur passando per un atroce dolore non verrà meno.
Quel che fa “grande” Maria non è tanto la sua immacolata concezione che la dispone ad una relazione piena con Dio, ma la sua capacità di difendere tale dignità da ogni insidia e proposta alternativa che vorrebbe indurre per vie più comode il suo cammino terreno.
Nulla sarà scontato e per lei la vita rimarrà, sempre, continua sorpresa e attesa. Anche lei, come noi, non ha avuto immediata comprensione degli accadimenti e, piuttosto, molti fatti le saranno parsi incomprensibili ma è proprio così che Maria crescerà nel cammino, imparando a conoscere la prospettiva di Dio che è puntualmente altra rispetto allo scontato calcolo umano.
Chi custodisce impara a discernere e ad uscire dalla logiche di calcolo volte al profitto. Entra cioè nella prospettiva dell’amore, della gratuità aldilà della risposta altrui.
È l’unica logica che rende possibile il cambiamento. È il “di più” che il nostro tempo domanda alla Chiesa: la testimonianza di chi continua ad amare senza allinearsi al sentire comune.
Il dogma dell’Immacolata concezione, datato 1854, dunque chiarisce il confronto con una prospettiva antropologica che voleva affermare la pretesa perfezione dell’uomo capace di tutto e senza alcun bisogno di Dio.
Il mito del “buon selvaggio” comparso già nel 1700 pensava al genere umano capace di perfezione ed imputava al processo sociale il successivo incattivirsi delle persone. Era la prospettiva della pretesa autosufficienza di fronte alla quale la Chiesa sentì la necessità di pronunciarsi chiarendo che la ferita relazionale con il Cielo non può essere guarita senza ripartire da Dio.
Chiaramente tanti ancora oggi sorridono schernendo la festa odierna come se fosse il retaggio di una mentalità obsoleta, per i cristiani invece rimane l’inizio di un Tempo nuovo, quello in cui Dio è venuto a visitare ogni creatura rendendola capace del Suo sentire e agire. La Visita che riporta la periferia al centro, ogni essere umano alla dignità di figlio di Dio.
In fondo è la parabola discendente della fede cristiana, dove chi si umilia sarà esaltato e dove ogni criterio meritocratico è sbriciolato dalla legge dell’Amore.