Una festa, quella di oggi, che ci rimanda al valore del cibo e al senso del nutrire. Se Dio assume la forma concreta del pane per rimanere in mezzo all’umanità allora il cibo ha un valore davvero speciale.
Questo, in primo luogo, perché ci fa entrare in relazione: la mensa è il luogo dell’incontro e della condivisione.
Senza mensa, inoltre, non c’è festa e non si potrebbe dare rilevanza ad un evento importante della storia di una persona o di una famiglia. Si pensi al banchetto nuziale o ai giorni festivi che solitamente vengono caratterizzati da una tavola particolarmente imbandita.
La festa di oggi, ancora, ci rimanda alla relazione tra i popoli e al diritto di esistenza da parte di tutti. Non è affatto scontato perché, seppure nel pianeta ci sarebbe cibo in abbondanza, molti non hanno il minimo per sopravvivere. Basti pensare che lo scorso anno in nove Paesi africani la fame era ad un livello allarmante, in Somalia ancora di più, e ciò significa che popoli interi rischiano di morire di fame. E, ancora, in trentuno Stati la fame rimane grave per cui è prevedibile che moltitudini continuino ad ammalarsi gravemente per la mancanza del minimo necessario.
La festa di oggi, dunque, è strettamente legata alla giustizia sociale perché la comunione eucaristica apre alla necessità di riconoscimento del diritto alla vita e del diritto al futuro. Non si può celebrare Eucarestia rimanendo su un piano individualistico ed autosufficiente. È per questo che il Vangelo di oggi trova, al centro, un invito chiaro da parte del Maestro ai suoi discepoli: “date voi stessi da mangiare”.
Gli apostoli, infatti, avevano consigliato Gesù invitandolo a congedare le folle vista la tarda ora e il bisogno di trovare alloggio e cibo. Loro, in realtà, erano partiti dal considerare le poche risorse di cui disponevano ma non si erano aperti ad una possibilità inedita frutto della condivisione ripartendo da Dio.
Offrire al Cielo la propria parte e cioè il frutto del proprio lavoro, fa uscire da una logica di possesso e permette alla persona di entrare in una missione nuova che umanamente rimarrebbe impossibile. Offre chi è consapevole che il cibo quotidiano non è soltanto merito della propria bravura e pertanto rimane grato e ringrazia Dio prima di sedersi a tavola. Offre chi condivide quello che ha quando sente dei bisogni altrui senza isolarsi nelle sicurezze e comfort della propria casa. Offre chi rinuncia alla moda dell’ “usa e getta” e ripara i propri strumenti o preferisce andare alla bottega per le compere rispettando la filiera etica di chi sta a lavorare onestamente pur sapendo di non potere abbattere i costi.
I discepoli entreranno in questa logica dopo la Pasqua, quando scopriranno che l’amore del Signore per loro è totale e allora non andranno in cerca di altre ricompense e, perfino, diverranno capaci del dono di se stessi senza più misura.
L’umanità da sola, certamente, non può trovare risposta a gravi ingiustizie sociali e non ammette ragioni per ripartire le risorse che in questo momento sono nelle mani di pochi potenti: solo trenta individui posseggono le ricchezze di quattro miliardi di persone! Il calcolo umano privo della visione del Cielo produce lobby di potere, cibi artefatti per arricchire alcuni, assoggettamenti che manipolano le masse, ingiustizie planetarie che feriscono l’ambiente e i più deboli.
Ma il Corpo di Cristo non ha prezzo ed è consegnato alla piccolezza del pane offerto gratuitamente da chi si riconosce “piccolo” in questo mondo. È la logica dei cristiani che la domenica trovano nella mensa eucaristica il luogo in cui consegnare il carico e il frutto di una settimana e da lì accogliere il nutrimento per la settimana successiva. Una esperienza che il lavoro domenicale ha cercato di strappare all’umanità intera, ma il celebrare è il segno distintivo di ogni Comunità ed è il motivo per il quale in tanti hanno donato la vita pur di non sacrificare il centro della propria fede. L’impero romano, infatti, perseguitava i cristiani e proprio la celebrazione eucaristica diventava il motivo di accusa per dichiarare la condanna a morte.
Significativo che oggi, nella nostra città di Palermo, la processione eucaristica partirà dalla chiesa di San Domenico dove è custodita la tomba del magistrato Giovanni Falcone e troverà conclusione nella Chiesa Cattedrale dove è venerato il corpo del beato Giuseppe Puglisi: due martiri della giustizia e della fede che per mano mafiosa sono stati uccisi.
Proprio nella chiesa di San Domenico si trova l’installazione di cinquantaquattro cani a grandezza naturale dal titolo “Branco”, costituita da sculture in ferro, lamiere e catrame, così come fu trovata l’area dell’autostrada di Capaci investita dalla deflagrazione del 1992. La mostra esprime la lotta tra il bene e il male, la gramigna mafiosa che infesta la Città ma, come a rivelare una luce ben differente, l’unica scultura rivestita d’oro si trova a vegliare dinanzi la tomba di Falcone indicando che c’è una qualità che supera tutte le altre e che nessuna macchinazione potrà mai cancellare.
Pensiamo alla Eucarestia come al cibo che dona una postura differente a questo mondo, un modo di affrontare le questioni che esce dalla logica individualistica e, piuttosto, rende capaci di compassione e del bisogno di custodire il bene comune.
L’Eucarestia fa uscire dalla logica del “luogo sacro” in cui incontrare Dio: si partecipa al banchetto eucaristico e da lì ci si muove per le strade del mondo perché il Signore lo si porta con sé e, anzi, lo si incontra nel prossimo più bisognoso. Non si tratta più di un luogo ma di una relazione in cui nutrire la luce che viene dal Cielo, ed è così che intendiamo il “dare se stessi da mangiare”: consumarsi per rendere credibile l’Amore di cui ci siamo nutriti.