Il sapore di ciò che viviamo ha un’importanza preziosa per attraversare l’esperienza dei giorni. Svuotarsi del sapore equivale a cadere nell’oblio perdendo ogni traccia dei ricordi e il senso del proprio quotidiano. Abbiamo bisogno, piuttosto, di mantenere l’ebbrezza della vita e cioè l’entusiasmo che è desiderio e passione per le cose, direzione che porta il gusto della meta sebbene ancora da raggiungere.
C’è chi apprensivamente sceglie di attendere, l’individuo cauto e centrato sul calcolo minuzioso delle proprie convenienze, o chi si spinge in un ritmo compulsivo volto all’appagamento senza limite ma, in entrambi i casi, il risultato è l’insoddisfazione ed il vuoto interiore.
Lo zapping tipico dei nostri giorni, ancora, procura per esaurimento un’esperienza di sfiducia e malinconia dell’anima lasciando molti nello sconforto del cuore.
Il Vangelo che ritrae l’episodio delle nozze di Cana ci dona una risposta significativa per recuperare il sapore dei giorni. Il contesto è quello di una festa nuziale e, dunque, del luogo che esprime la cultura di un popolo, del come si celebrano i legami sociali, primo tra tutti, l’inizio di una famiglia.
Le anfore di pietra dedite al rituale di purificazione sono prive d’acqua e questo vuoto rappresenta la mancanza di relazione con il Cielo, e cioè il progettare tutto secondo una prospettiva meramente orizzontale che schiaccia l’umano su un piano che non potrà mai rispondere alla sete di eternità che ciascuno porta dentro.
I legami generativi, sia quelli coniugali che quelli fraterni, sono tali solo se connotati dall’amore. Quando le relazioni umane sono dettate da un interesse volto al profitto o all’appagamento individuale, tradotto con quello che l’altro può darmi, allora sono destinate a spegnersi e a lasciare spazio al vuoto privo di desiderio.
Assistiamo, in quel caso, a un fare bulimico che utilizza le persone a proprio uso e consumo ma che non è in grado di costruire rapporti fondati sull’amore. Nelle nozze a Cana di Galilea, Maria si rende conto della mancanza di vino e dà un’indicazione preziosa a quanti si occupano di servire la mensa: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”!
Lei è consapevole che Dio agisce aldilà delle comprensioni umane e che l’amore abbisogna di libertà per riuscire ad esprimersi in pienezza. Gesù, infatti, le aveva anticipato che quel vino è in riferimento alla sua “ora” e quindi all’Evento pasquale che non troverà nessuna ragione d’essere se non nel dono smisurato del Padre. Lui, che malgrado le ostilità ricevute, mantiene costante il desiderio di bene per i figli.
È interessante notare che l’acqua potrà diventare vino solo attraverso l’ascolto di quei servi che faranno quel che Gesù dice loro sebbene, questo, possa apparire del tutto insensato. La trasformazione delle cose, e quindi l’agire di Dio che cura e restituisce senso alla vita, è possibile attraverso l’ascolto che non lascia spettatori passivi. Come l’acqua che irrora la terra che nutre i vitigni in cui lavorano gli agricoltori che, poi, dall’uva ricavano il mosto, ora l’acqua può diventare vino perché c’è chi si mette all’opera guidato dalla Parola.
La testimonianza cristiana si esprime proprio in questa risposta capace di ascolto che porta oltre le apparenze e le logiche calcolatrici dell’uomo dei consumi. Pensiamo – trascorso qualche giorno dalla sua dipartita – alla bella testimonianza lasciataci da David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo. Lui ha tradotto la sua fede nella operosità del quotidiano dove ha cercato di ridisegnare l’unità dell’Europa a partire dai bisogni dei più deboli.
Affermava: “Il progetto europeo che vogliamo costruire deve concentrarsi sulla lotta alla povertà e sulla riduzione delle diseguaglianze, deve occuparsi della dignità delle persone”. Ecco un modo concreto di restituire vino e sapore ai legami che intrecciano i popoli: nel mentre che altri credevano di potere costruire coalizioni internazionali in base alle economie da accrescere, lui ricordava a tutti che il punto di partenza è sempre l’umano capace di condividere i valori e la bellezza del Cielo.