Lasciarsi provocare dalla storia è altra cosa. Siamo abituati ad argomentare sui fatti che attraversano il nostro tempo rimanendo spettatori delle vicende, carichi di opinioni e di tendenze mediatiche che spostano la nostra attenzione da una parte all’altra senza una reale riflessione che procuri movimento interiore.

Anche gli operatori sociali, impastati di metodiche progettuali, rischiano di rimanere imbrigliati da una burocrazia che allena all’analisi e alla comprensione per poi decidere le azioni da portare avanti. Nel migliore dei casi questa prassi porta oltre che a tamponare emergenze anche a prevenire le problematiche.

Tutto questo, comunque, rimane insufficiente per chi desidera entrare nella storia con ascolto profetico capace di vedere oltre le apparenze e il buon senso.

La Scrittura ci ricorda, ad esempio, come Geremia rimase a contestare l’opinione diffusa che voleva scegliere la guerra contro l’impero neobabilonese e, piuttosto, spingeva ad arrendersi per non avere una sorte peggiore. Di fatto il profeta fu tacciato di essere un collaborazionista di Nabucodonosor e il popolo optando per il conflitto finì per essere sconfitto ed esiliato per settant’anni. Ancora oggi, quando si parla di corsa agli armamenti, pare che si cerchi il conflitto per difendere il propri diritti compreso quello della pace-

La Parola di questa domenica entra nel tema presentandoci dapprima la figura di Mosè di fronte al roveto ardente, lui che di fronte all’ingiustizia era ricorso all’uccisione dell’egiziano, ora, è invitato a fermarsi e togliersi i sandali. Stare nella storia abbisogna questo atteggiamento che restituisce sacralità al nostro passo e, dunque, al rapporto con i luoghi che attraversiamo e le persone che vi incontriamo.

Mosè è invitato al dialogo e a disporsi in ascolto del Dio che rimane presente nella storia del popolo malgrado l’attuale stato di schiavitù. Mosè non dovrà armarsi di nulla se non della parola ed è così che condurrà Israele verso la liberazione.

Quello che ci accade attorno se realmente ci questiona, allora, deve portare ad un ascolto inedito della missione che il Cielo consegna a ciascuno. Noi non siamo la risposta ai problemi ma, certo, siamo chiamati a  farci prossimi, accostarci facendoci carico del travaglio umano ed ambientale che ci circonda.

Penso agli episodi di guerriglia urbana dei giorni passati dove con la scusa della “vampa di san Giuseppe” sono stati sfregiati diversi luoghi di quartieri a noi vicini e si è ferito il patto di alleanza tra popolazione e forze dell’ordine. O, ancora, l’aumento esponenziale di ludopatia in cui cadono tanti giovani, uomini e donne, che nell’arco di una serata fanno fuori tutte le economie, già assai precarie, di cui dispongono per campare un mese. Alcune donne, sappiamo, arrivano a prostituirsi per continuare a giocare o per farsi l’ennesima dose di crack.

Sono questioni che non possono lasciarci teorici opinionisti che ne parlano una tantum, apparentemente sconvolti, per poi tornare all’indifferenza del quotidiano.

Anche il Vangelo (Lc 13, 1-9) di oggi rimane sul tema. Gesù è interrogato sulla strage compiuta da Pilato il quale aveva fatto massacrare i galilei rivoltosi mischiando il loro sangue a quello dei sacrifici nel tempio. Un fatto grave che chiederebbe la giustizia di Dio così come penserebbero gli astanti.

Ieri come oggi, infatti, la bontà di Dio viene legata ai fatti che accadono come se Lui dovesse impedire gli eventi abominevoli per dimostrare il Suo amore. Questa è la logica dello spettatore che si giustifica ritenendo che se Dio non opera allora non serve credere e quindi fare la propria parte…

Gesù ribalta la questione citando anche un altro caso in cui per disgrazia cadde una torre di Siloe su diciotto persone. In entrambi i casi il punto non è sull’intervento o meno di Dio a dovrebbe cambiare la storia ma il dialogo che Lui mantiene affinché ciascuno possa fare la propria parte senza tirarsi indietro.

La parabola successiva del fico spiega come l’opera di Dio non è quella di tagliare l’albero infecondo ma di prendersene cura affinché in futuro, possa portare frutto. Il desiderio del Cielo è quello del cambiamento affinché possano realizzarsi opere di bene, doni per l’altro così come è di ogni frutto, e ciò attraverso il dialogo e la cura. Allora è possibile una rilettura della storia dove si scorge la voce del Padre che chiede all’umanità tutta di entrare in dialogo per rispondere, ognuno, facendo la propria parte. Senza ascolto non sarà possibile alcun dialogo e la nostra vita rimarrà una risposta muta magari colma di opere ma infruttuose.