Sono trascorsi due giorni dalla ricorrenza del Perdono d’Assisi ed è straordinario constatare come l’umanità di ogni credo e area del mondo, per ottocento anni ha continuato ad ispirarsi alla figura di Francesco d’Assisi, l’uomo del perdono.
Sebbene la nostra società navighi su ben altri livelli di interesse, eppure ancora oggi la sua figura desta un particolare fascino, una sorta di ammirazione che continua a provocare l’esistenza di molti.
Francesco è un esempio nel senso letterale del termine e cioè capace di tirare fuori l’attitudine al bene che appartiene al profondo di ogni essere umano.
Per quanto in giro si trovi parecchia arroganza unita a escalation di violenza, basta aprire i social per averne immediata prova, – la continua polemica sui giochi olimpici di questi giorni è solo una delle vetrine che lo attestano – ognuno è cercatore di felicità e questa abbisogna dell’essenzialità del bene, quella che non ha prezzo ed è frutto del dono gratuito.
Se volessimo riassumere il tratto peculiare del povero di Assisi approfondendo la sua vita, una volta depurata dall’immaginario cinematografico di cui è stata rivestita, potremmo rintracciarlo nella sua capacità relazionale caratterizzata dall’amicizia fraterna e dal perdono quale espressione della misericordia.
L’umanità intera ha bisogno di recuperare la relazione verticale, sebbene oggi sia parecchio svalutata, dalla quale dipende il discernimento e la comprensione di ogni cosa.
Senza sguardo che attinge dall’alto, l’esistenza rimane schiacciata su una lettura contingente priva di meta e d’orizzonte autentico.
Ripartire dallo sguardo misericordioso di Dio rivolto alla fragilità umana è la chiave di volta per restituire dignità ad ogni cosa. Il Cielo, infatti, non ha uno sguardo meritocratico centrato su criteri di perfezione ma una ricerca mossa dall’amore per la creatura.
Nel Vangelo di questa domenica (Gv 6, 24-35) tale atteggiamento si traduce nel dialogo che Gesù ha con la gente che gli sta attorno e cerca nutrimento ma che abbisogna di scoprire il cibo duraturo per sempre.
Quella ricerca abbisogna di andare oltre le apparenze e la Scrittura, puntualmente, rimanda all’interrogativo “cosa cercate?”. Abbiamo bisogno di chiarire il senso del nostro andare, verso dove muove il nostro desiderio.
Gesù svela loro che stanno cercando perché si sono “saziati”, l’espressione fa riferimento al nutrimento degli animali come se la folla si limitasse ad una fame istintuale priva di significato. La differenza che caratterizza l’umano sta proprio nel senso che diamo alle cose cercate.
Quando perdiamo questa esplorazione, la vita si riduce ad una continua dipendenza che brama colmare il vuoto esistenziale. La bulimia da cibi, possessi, sesso o gioco, ha questa ricerca compulsiva priva di reale appagamento.
Anche la sfera religiosa può sviarsi secondo questa deriva e il sacro diventare una pratica per appagare il bisogno di sentirsi a posto o, comunque, ricolmi di se stessi.
Gesù spiega che la manna nel deserto era stata data, prima di tutto, non per saziare ma per stare in relazione col Padre e, per questo, donata ogni giorno. Il fatto che non si potesse conservare permetteva di mantenere la relazione fatta di attesa e desiderio e non di accaparramento volto al possesso.
Lo stesso termine “manna” – “cosa è questo?” – manteneva viva la ricerca del donatore e cioè l’attesa del non afferrabile perché frutto di una relazione quotidiana.
Gesù continua a provocare gli interlocutori, ancora non sono andati oltre al segno del pane condiviso che aveva sfamato la folla. Il segno, infatti, rimanda altrove, altrimenti perderebbe la sua valenza simbolica: quel pane rivela l’amore con il quale Cristo desidera nutrire l’umanità. Lui si farà pane spezzato, pane che diventerà il Suo corpo.
Per cibarsi è necessario entrare in relazione con il Padre perché ci si nutre del pane solo da figli e, dunque, con un atteggiamento di fiducia che poggia l’esistenza nelle braccia del Padre.
Fino a quando cercheremo di provvedere a noi stessi da soli, allora, non sarà possibile accogliere il dono del Cielo e il Pane eucaristico non si accoglie nella solitudine ma sempre all’interno di una Comunità, dove la relazione con Dio apre ai rapporti fraterni.
Fermarsi al dono senza riconoscere il donatore, diversamente, equivale a perdere la gratitudine per la vita. Oggi troppo spesso assistiamo a genitori oltraggiati per il mancato riconoscimento dei figli che non equivarrebbe a sottomissione ma a consapevolezza di non bastare a se stessi.
Senza questo passaggio non ci potrà essere pace e perdono, riconciliazione interiore e di conseguenza con gli altri. I comportamenti reattivi che denunciano posture nevrotiche e capaci di ogni genere di violenza, piuttosto, sono frutto della frammentazione dell’animo che rimane a rivendicare quello che non si è avuto.
La ricerca spasmodica di appoggi e appagamenti strappa la pace in quanto attende nutrimento da ciò che non può nutrire e, piuttosto, frammenta. Lo shalom ebraico è prima di tutto essenzialità e unità del cuore. Le guerre tra i popoli, che hanno alla base un movente economico, sono determinate da questo frainteso delirante in cui ci si vorrebbe saziare di possessi e di potere per avere appagamento e felicità.
L’unità interiore è prima di tutto integrità nella lettura della storia personale, quando tutta l’esistenza viene letta alla luce di Dio. Una visione interiore che illumina anche le ferite e i periodi di prova personale. Un cuore semplice, allora, non significa ingenuo ma capace di leggere secondo la visione del bene senza serbare rancori o spirito di vendetta.
Francesco d’Assisi porta la pace perché custodisce un cuore misericordioso che desidera includere tutti nell’amore di Dio: la festa della Porziuncola esprime il suo anelito a portare tutti in Paradiso. Manifesta, così, il senso pieno della comunione con il Corpo eucaristico, quel Pane lo rende profondamente unito al Maestro e a tutti i fratelli che Lui gli ha donato.
Il Pane della condivisione, ora, non lascia più affamati ma apre al desiderio di consumarsi e di sfamare donandosi per amore, è il mistero della vita cristiana.