Fermarsi ad analizzare i mali che affliggono i nostri giorni è opera di intrattenimento priva di utilità sociale. Non è sufficiente mostrarsi critici, magari attorno ad una lauta mensa o comodi nei propri salotti, piuttosto è necessario contribuire ad un effettivo processo di cambiamento secondo la direzione desiderata. Il pensiero privo di azione rimane mera retorica autocelebrativa.
È quello che accade con la tanto sciorinata Agenda 2030 quale panacea per risolvere, entro quella data, i mali che affliggono l’intero pianeta. La prospettiva narrata è rilevante e condivisibile da tutti perché riconosciamo l’urgenza di un piano di guarigione del mondo e dell’umanità che lo abita, solo che la modalità per realizzarlo non scalfisce le potenze mondiali che detengono le finanze del pianeta e quindi continuano a produrre scarto e sottomissione di innumerevoli fasce di popolazione in ogni paese con l’effetto, considerato opportuno, di cambiare stili di vita e il pensiero comune.
Quella prospettiva considera rilevante l’accelerazione procurata dalla pandemia dove si è scoperta l’utilità della mobilità limitata e del conseguente lavoro da casa e pagamento a distanza che evita di avere un contatto diretto con i venditori. Un sistema, già a partire da queste esemplificazioni, capace di passivizzare rinunciando alla esplorazione del mondo e alla interazione umana in virtù di un senso di protezione legato al rimanere nel proprio spazio vitale.
Anche il gioco, considerato da sempre lo spazio di esplorazione e conoscenza del mondo per ogni bambino, si è trasformato nella visione di un monitor suggestivamente animato con colori e azioni sonore!
Sebbene già nel 2008 la crisi del modello produttivo aveva mostrato come l’aumento dei consumi non procurava la felicità promessa, la prospettiva è rimasta legata ad una visione di riscatto emergenziale che non restituisce dignità redistribuendo le ricchezze così da diminuire le disuguaglianze ma aggiunge gravami a quanti sono più poveri!
A motivo della crisi climatica, per esempio, si dovrebbe permettere la circolazione alle sole auto elettriche ma questo penalizzerebbe la fascia di popolazione media che con fatica riesce a mantenere le spese per un’auto già logora.
La minoranza formata dagli oligarchi del mondo detta il controllo delle regole che, puntualmente, garantiscono i loro proventi e spengono le tracce di democrazia ancora riconoscibili nel nostri paesi. Si pensi al diritto alla cura o al futuro, spingendo verso una sempre maggiore privatizzazione dei servizi pubblici i cittadini si troveranno sempre più esclusi ed impotenti, resi incapaci di partecipare con capacità critica al processo di trasformazione planetaria.
La pagina evangelica di questa terza domenica di quaresima (Gv 2, 13 – 22) entra nella questione offrendo un cambiamento di prospettiva: quello che pareva unanimemente condiviso viene ribaltato da Gesù il quale contesta la pratica religiosa del tempo.
Infatti attorno al tempio di Gerusalemme girava tutta l’economia della città, solo nella Pasqua venivano macellati circa ventimila agnelli e centomila pellegrini provenienti da ogni parte vi si recavano per la loro offerta e i cambiavalute avevano un gran da fare ottenendo dal cambio enormi guadagni. L’offerta poteva essere pagata solo con le monete del tempio le quali non riportavano nessuna figura umana o animale. L’impero romano, dunque, aveva permesso ai giudei di battere moneta talmente ingenti erano i proventi di quel commercio.
Ora il mercato si era ingrandito ed era diventato il centro del pellegrinaggio sostituendo l’interesse per il santuario – la stanza più interna al tempio – che custodita le tavole della Legge. Gli affari avevano assorbito tutto e, dunque, avevano assunto la funzione di comprare perfino il favore di Dio attraverso l’offerta del momento!
La meta, dunque, non era più il desiderio di purificare il cuore ma di crescere nel potere e nel volume di affari. L’agire di Gesù rappresenta la necessità di questo rovesciamento di prospettiva in cui riscoprire il volto del Padre che tratta ciascuno da figlio. I venditori di buoi e altri animali sono mandati via, solo rimane a parlare con i venditori di colombe e cioè con quanti andavano a soggiogare i poveri i quali avrebbero offerto le colombe perché più economiche.
Impadronirsi di coloro che sono più fragili, impedendone il rapporto di fiducia col Padre, è il peccato più grande perché il popolo d’Israele – rappresentato dalla colomba – apparteneva a Dio!
L’attenzione del pellegrinaggio, dunque, si era spostata dal santuario al porticato e Gesù dice di come questo cambio di prospettiva che strumentalizza la pratica religiosa perché, di fatto, il senso del sacrificio era ben altro, equivale a distruggere il luogo che custodiva la visita di Dio e quindi il Suo stesso corpo: Gesù si identifica portando su di sé le conseguenze di quella impostazione di vita.
In questo modo stanno distruggendo il tempio, stanno spegnendone la vita e Gesù afferma che lo farà risorgere come ad indicare che il luogo dell’incontro è Lui. Il tempio diventa il suo corpo che loro stanno consumando sino alla morte ma, questo, diventerà per Lui dono sino alla fine.
Mentre i giudei sono preoccupati per i quarantasei anni di lavoro ordinato da Erode per abbellire il tempio secondo un’immagine estetica, Lui annuncia che il cambiamento dovrà passare per l’offerta d’amore gratuito che Gesù farà di sé.