La vulnerabilità fa paura soprattutto in un mondo organizzato secondo criteri di competizione e di soppressione del più debole.

Si diffondono forme di potere sempre più spietate, basti osservare la piazza dei social network, che vengono a censire ogni minima sbavatura dell’esistenza personale: più l’altro è idealizzato secondo criteri di perfezione estetica e più aggressiva è la reazione quando si scorge un minimo sbaglio. Le relazioni umane, di conseguenza, oscillano tra picchi di idealizzazione e di disprezzo del prossimo considerato quale mito da inseguire o rivale da distruggere.

Un cortocircuito che, in realtà, nasce dall’illusione di potersi realizzare da soli. Sebbene l’ombelico ci ricordi che nasciamo da una relazione, il modello culturale contemporaneo afferma che vita dipenda dall’affermazione della volontà individuale dove i rapporti umani sono privati della capacità di stare con l’altro secondo un ascolto empatico e interessato a chi sta di fronte.

Senza relazione nasce il frainteso della mercificazione dell’altro trattato come un oggetto funzionale al proprio appagamento. In quel caso la perdita viene affrontata con un’escalation di agiti capaci di ogni sorta di violenza così come denuncia la cronaca dei quotidiani.

Le continue analisi e riflessioni effetto dello shock collettivo provocato da crimini efferati, però, se non portano ad un cambiamento di prospettiva nel mettere in pratica rinnovate azioni educative e culturali secondo una visione autenticamente relazionale, risultano essere mere chiacchere per lenire il senso di colpa del mondo adulto o per osannare guru che trovano spazio mediatico a scopo di intrattenimento!

Il nostro è un tempo complesso, non c’è dubbio, ma se non si riparte dal riconoscimento e dall’ascolto dei piccoli, dal prendersi cura delle fasce di popolazione più marginalizzate non potrà esserci cambiamento. La resistenza a questo approccio, forse, è dovuta al fatto che il riconoscimento della fragilità altrui fa da specchio alla vulnerabilità di ciascuno…

La festa che celebriamo oggi, giorno dell’Immacolata, per la fede cristiana rivela questo riscatto e la capacità di ritrovare la propria dignità malgrado i limiti umani. Non si celebra, dunque, il perfezionismo o l’esemplarità estetica di una donna ma la sua capacità di fidarsi oltre le apparenze e di non fermarsi alla evidenzia della propria fragilità o al pregiudizio della cultura che la circondava.

Immacolata e cioè senza peccato, traduce la mancanza di una ferita originaria frutto della pretesa di nutrirsi da soli senza accogliere il dono di Dio. La superba posizione, descritta nel racconto della Genesi, di conoscere il bene e il male senza limiti ritenendosi capaci di onnipotenza. “Diventereste come Dio” è la suggestiva proposta che sta alla base di questo delirio individuale e collettivo, la risposta di Maria – “eccomi sono la serva del Signore, si compia in me la tua parola” – si sottrae a così potente suggestione.

Lei si trova di fronte ad un dato di realtà: non è madre e neppure sposa per cui in quel contesto sociale è priva di riconoscimento. Il suo smarrimento è frutto di una consapevole lettura dei fatti ma rimanendo in ascolto si lascia sorprendere, intuisce che è possibile un’inversione di prospettiva perché Dio sta guardando la sua piccolezza e dunque agisce aldilà degli schemi convenzionali, “abbassa i potenti e innalza gli umili”.

Fin dai primi giorni di vita a ciascuno accade di riconoscersi attraverso il rispecchiamento altrui, lì si impara a guardare il mondo circostante e a scoprire il valore della propria esistenza. Nella scena evangelica (Lc 1, 26-38) l’interlocutore che dialoga con quella ragazza sta rivelando come lei, “piena di grazia”, sta rimanendo aperta a questo confronto, accoglie la visita di Dio senza trincerarsi dietro le proprie paure o bisogni di autoaffermazione solitaria. Maria, dunque, risponde per amore e perché si fida, non per mera obbedienza passiva, infatti senza relazione d’amore non potrebbe esserci fede o dono di sé.

Questo permette di vedere oltre le apparenze e mostra come Dio può operare là dove c’è una impossibilità umana dettata, in questo caso, dalla verginità o dalla sterilità. È la relazione con il Cielo a rendere feconda la storia di ciascuno, diversamente il chiudersi a questa prospettiva rende l’essere umano incapace di orizzonte.

Maria concepisce il figlio Gesù e da questa relazione imparerà la libertà dell’amore. Le parole dell’angelo saranno comprese attraverso un quotidiano in cui per Maria non sarà possibile alcuna appropriazione: il figlio rimarrà dono e per custodirlo lei dovrà permetterne la missione di vita sino al dono totale.

Crede chi accetta di consumarsi per amore, piuttosto chi si organizza secondo l’avarizia del preservarsi perde l’occasione dei propri giorni. La vita rimane dono per tutti, a ciascuno è dato di fare la differenza.