Andare oltre le apparenze è la grande sfida di ogni tempo. Il reale non corrisponde precisamente alla realtà ed è nella prova che emerge e cioè quando viene smontata ogni possibile idealizzazione.
La prova, dunque, scardina il quieto vivere dell’apparenza e cioè quell’accomodamento che potrebbe sedare l’animo umano quando tutto poggia su un principio edonistico autoreferenziale.
Ci sono personaggi che si immaginano eterni a motivo del potere che detengono e delle finanze che li fanno percepire, a sé e agli altri, onnipotenti. L’impatto con la fragilità, la malattia fino alla morte, svela loro il reale ed è a quel punto che l’evento che si presenta innanzi ai loro occhi diventa l’occasione per entrare pienamente nella storia oltre la realtà immaginata. Molti, però, decidono di fuggire immergendosi in innumerevoli forme di anestesia del sentire che, alla fine, determinano puntuali dipendenze.
L’uomo contemporaneo, sovente assorbito dal piano del sentire, crede di potersi orientare a seconda delle emozioni di turno ma questo lo avvita attorno ad una ricerca di piacere immediato che, gradualmente, lo svuota di senso e di gusto per l’esistenza. La realtà organizzata secondo il sentire del momento, dunque, impedisce il cammino e l’orizzonte di vita, e consegna l’individuo alla malinconia del vivere.
Pensare che anche nello studio delle civiltà primitive si è osservato che sono sopravvissute quelle che hanno dato un senso narrativo alle proprie origini, raccontando la storia del popolo immerso nelle vicende sociali che affrontavano tematiche quotidiane, non solo gesta eroiche, e finanche la morte. Cioè hanno resistito quanti si sono presi cura, utilizzando l’arte ed i simboli, del senso del limite e degli accadimenti del vivere, permettendo di trasmettere e ricordare la propria storia.
Il confronto con il quotidiano, segnato dalla precarietà, in quel caso, non è diventato luogo di idealizzazione ma ricerca di senso e tale postura ha permesso loro di attraversare i tempi.
L’evento storico, dunque, irrompe nella realtà rifuggendo ogni possibile idealizzazione e provocando una risposta concreta e aderente al reale.
Il tempo quaresimale che abbiamo iniziato a vivere, ripropone questo venire fuori dall’ordinarietà che potrebbe falsare il reale, chiudendo il percorso personale in una serie di misure difensive accomodanti e regolate dalla ricerca del piacere egoico.
Il deserto è la cornice simbolica proprio perché luogo di solitudine e tempo di silenzio, di ascolto e di digiuno. L’attesa e la fame diventano il veicolo per entrare nel reale, per ascoltare la chiamata del Cielo e, così, recuperare la relazione con Dio. L’instabilità che ne deriva appare come una minaccia alla sopravvivenza ma, in realtà, è una destabilizzazione funzionale a mettersi in gioco e, così, imparare a sostenere la fatica del cammino.
Il deserto è il luogo del combattimento, Gesù vive le tentazioni che hanno una premessa comune: mettere in dubbio la figliolanza dal Padre. Avere bisogno di dimostrare qualcosa equivale a metterla in discussione ed è per questo che Gesù non dialoga con il tentatore, così come avevano fatto Adamo ed Eva, ma risponde con la Parola del Padre. È l’ascolto del Cielo, dunque, ad orientare il cammino permettendo di discernere la strada reale da percorrere piuttosto che quella menzognera.
La prima tentazione «… di’ a questa pietra che diventi pane» traduce la pretesa di darsi da sé la sopravvivenza, è il male di tutti i tempi: sostituirsi a Dio.
La parola usata per stravolgere il reale con l’illusione di potersi nutrire di ogni cosa. Conseguenza è la strumentalizzazione delle persone e della realtà a seconda della bramosia illimitata. Nutrirsi senza accogliere il dono di Dio equivarrebbe ad imporsi pensando di potere conquistare ogni cosa per soddisfare l’insaziabile fame individuale.
Gesù rispondendo svelerà che l’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio e “il solo pane” non è sufficiente per la sopravvivenza, anzi potrebbe appiattire l’umano su un piano di bisogno immediato perdendo di visione rivolta alla meta.
La seconda tentazione, «Gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: Ti darò tutto questo potere e la loro gloria…», è riferita al miraggio del potere e alla gloria che ne deriverebbe. Il reale non può essere ridotto ad un istante, la storia abbisogna di continuità perché lì si verifica la tenuta dei legami, la veridicità dell’amore e l’autenticità di quello che ciascuno dice.
Il potere quale illusione di dominio e di possesso di ogni cosa procura una gloria infelice proprio perché manca di relazione con il prossimo. È la gloria dei potenti che sperimentano amicizie per interesse e, di fatto, non vivono il sentimento della fiducia e dell’amore. Il prezzo, per ottenere simile potere, è il prostrarsi al padrone di turno e, dunque, perdere la libertà così come accade a chi entra all’interno del sistema mafioso o delle lobby di potere che, in cambio della “protezione”, chiedono l’assoggettamento totale.
La gloria del Cielo è quella di chi sperimenta la figliolanza dal Padre, il potere di chi serve per amore e dona gratuitamente perché tutto riceve da Dio e senza misura. È la gloria propria del Regno che non ha prezzo ma è dono della Sua vita per amore dell’umanità.
Nell’ultima tentazione troviamo Gesù che, portato sul pinnacolo del tempio, riceve l’invito: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti…». È il suggerimento di una via alternativa volta a saltare la storia quotidiana. In questo caso Gesù dovrebbe forzare l’agire del Padre costringendolo ad intervenire attraverso un gesto eclatante.
Si tratta di quel miracolismo religioso che manca di conoscenza di Dio trasformando la fede in un rapporto meritocratico capace di piegare il Cielo alla propria volontà. La storia con tutta la sua limitatezza, piuttosto, diventa il luogo in cui il Padre si fa compagno di cammino e accetta di consegnare il Figlio per rivelare in pienezza la portata del Suo amore. È proprio dall’alto della Croce che Dio mostrerà il Suo volto, la grandezza di chi accetta di donarsi seppure rifiutato e oltraggiato.
La sapienza biblica, dunque, ci mostra come il combattimento e la tentazione costituiscono la pagina quotidiana dell’umanità, quella storia in cui a ciascuno è chiesto di scegliere, ogni giorno, se cercare vie di fuga dalla propria esistenza o rimanere in campo accettando di pagare il prezzo della condivisione, dei legami, del compromettersi con il prossimo. L’unica storia che cambia il mondo e solca il cammino dell’umanità è la resistenza ordinaria di chi si consuma per portare avanti la sua missione sino alla fine.