Restituire visione, capacità di lettura della storia, ascolto oltre le apparenze, è una responsabilità che dobbiamo sentire nostra quando, nel nostro tempo, si crede di potere affrontare le questioni partendo da piccoli segmenti senza una prospettiva d’insieme.
È quello che accade, ad esempio, quando si affronta il problema della dispersione scolastica nelle periferie senza tenere conto dell’importanza della cura nei primissimi anni attraverso un asilo nido o, ancora, la promozione di agenzie educative che possano accompagnare i minori oltre il tempo scolastico. Lo stesso dicasi delle politiche legate ai progetti a tempo determinato senza promuovere i processi che favoriscono reale sviluppo e cambiamento.
Lo sguardo miope, tipico dell’individualismo autoreferenziale, fa perdere il focus e la trama di relazioni che permetterebbe di cogliere l’agire umano con i suoi bisogni profondi; perfino la vita spirituale è snaturata quando non è vissuta in modo integrale e cioè limitata a piccoli ambiti della settimana senza una reale contemplazione ed immersione nel mistero divino.
Per molti i frutti del legame con il Cielo si traducono in opere da fare per sentirsi buoni o pratiche ascetiche per trovare la propria quiete e non in una effettiva appartenenza a Dio che si esprime nella inquietudine per la causa del bene.
Noi cristiani non “facciamo” l’elemosina, non andiamo “a vedere” la Messa, non “prendiamo” la Comunione, ma siamo noi stessi a diventare Corpo di Cristo e quindi chiamati ad offrirci come cibo al povero e ai piccoli della terra.
Quando la trasmissione della fede è diventata dottrinale, e non più frutto della testimonianza di vita, il cristianesimo si è trasformato in una sorta di moralismo perbenista che poteva adattarsi al cuore più rancoroso e vendicativo. Non a caso politici corrotti, gregari di lobby di potere o spietati malavitosi credono di essere buoni cristiani solo perché si prodigano nel fare cospicue offerte per le feste di quartiere o per sostenere le famiglie più povere!
Se oggi celebriamo la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo è perché in questo Corpo viene trasformato chi accoglie il Suo amore. Si rivela, così, la nostra identità che nasce dall’essere rigenerati dalla Sua pasqua frutto del dono della vita che affronta la morte. Questo dono ci rende “pane spezzato” e cioè capaci di consumarci ogni giorno per amore.
Si tratta di un’esperienza che non può essere separata dall’amore trinitario in quanto il Figlio mantiene un costante dialogo con il Padre e la pasqua è possibile celebrarla perché ci si affida a Lui. Ma fino a quando si rimane autocentrati e con una sorta di diffidenza rispetto a Dio e al prossimo, allora è impossibile questa esperienza!
Il murales appena realizzato da un artista fiorentino sui prospetti che accompagnano a piazza Danisinni, svela la bellezza di uomini e donne ordinari che nel quotidiano hanno espresso la loro perseveranza nel bene per difendere la causa dei piccoli.
È questa ferialità a rivelare l’appartenenza al Corpo di Cristo e a renderci strumenti di pace e riflessi di bellezza. Non si tratta di un quieto vivere ma della passione che fa consumare sino alla fine perché accomunati al Maestro, diventa resistenza e contrapposizione pacifica se necessario per custodire l’autenticità del bene.
Tra poco il nostro rione vedrà aprire un cantiere per la ristrutturazione dell’Asilo nido che, rimasto chiuso per quindici anni, rappresenta una grave ferita comunitaria a discapito del futuro dei piccoli e della bellezza urbanistica e sociale. La nostra Parrocchia insieme a tutta la Comunità Educante territoriale ha reagito non potendo accettare l’abbattimento dello storico presidio pubblico. Non sarebbe compatibile una testimonianza che cura le processioni e rimane indifferente rispetto ai luoghi che lo stuolo di fedeli attraversa. Non risponderebbe a verità una premura liturgica che poi non si prende cura della bellezza dei luoghi umani che dell’Eucarestia celebrata fanno parte.
Celebrare la festa del Corpus Domini, dunque, significa sentirsi comunione e cioè parte gli uni degli altri, interessati alla custodia degli ultimi senza timore di esporsi e faticare. In fondo si trascorrono notti insonni quando si ha a cuore la causa di un altro ed è questo legame che fa dell’Eucarestia celebrata una incessante preghiera per il prossimo e uno spazio interiore di accoglienza che muove verso la cura.
Gesù indicherà ai suoi di andare a preparare la Pasqua e saranno portati al piano superiore come a simboleggiare che è necessaria una prospettiva dall’alto per riscattarsi dalle ingiustizie e dai compromessi della vita. La Pasqua, infatti, esprimeva il passaggio dalla schiavitù alla liberazione e il Maestro ora rivela come accogliere il Suo dono d’amore, libera da ogni legaccio e genera al legame con il Cielo, a quella relazione inedita che ci rende tutti figli del Padre.