Un passaggio della celebre canzone “Veni l’autunnu” a firma di Franco Battiato, riprende un significativo proverbio siciliano: “È inutili ca ntrizzi e ffai cannola, u santu è di marmuru e nun sura”.
Il cantante d’autore con la scelta di questo proverbio – che narra del dialogo di una mamma la quale spiega alla figlia che non serve fare trecce (intrizzi) e boccoli (cannola) per apparire all’uomo che non la ama e che, pertanto, si comporta come la statua marmorea di un santo che, di fatto, non può sudare – ci rimanda alla dinamica della fede che richiede relazione autentica così come è del rapporto d’amore e del dono dello Spirito Santo.
Il guaio dei nostri giorni è che pretendiamo costruire relazioni senza amore, illudendoci che l’interesse economico o il prestigio possa procurare felicità. È così che i legami formali, venuta meno l’apparenza, si trasformano in efferati conflitti e le dichiarazioni di vicinanza in improvvisi tradimenti. L’individuo che rimane autocentrato, di fatto, è imprevedibile e la sua storia denuncia discontinuità e indifferenza, pretesa ed anaffettività.
Magritte nella tela “Gli amanti” descrive questo paradosso relazionale mostrando il bacio di due persone dal capo coperto con un panno che impedisce loro di vedersi e di comunicare. Se per il surrealismo questo esprimerebbe la liberazione per raggiungere una conoscenza oltre la realtà, noi pensiamo che simile prospettiva generi anonimato e solitudine e, i nostri giorni, ne stanno raccontando le tristi conseguenze.
Celebrare la festa di Pentecoste, oggi, ci dà la possibilità di meditare la fonte di ogni amore e il senso della vita spirituale. Il dono dello Spirito Santo restituisce verità all’esperienza d’amore perché Dio è l’Amore che si dona!
Nel giorno in cui si commemorava il dono della Legge sul Sinai ora viene donato il nuovo comandamento espresso dalla Persona divina chiamata Amore. La Legge, infatti, rimaneva su un piano formale legato ad un’aspirazione perfezionista, adesso si ascrive nel cuore la capacità di ascoltare quanto comandato e lo si può osservare perché amati e visitati da Lui.
La vita spirituale, dunque, comincia con l’accoglienza e non con lo sforzo autocentrato, con il riconoscimento della propria fragilità e non con la pretesa meritocrazia. Non si tratta di deresponsabilizzarsi ma di partire dalla storia concreta e quotidiana, lì dove Dio si è incarnato.
L’amore, infatti, presuppone il Suo sbilanciamento, tanta è la distanza che si frapponeva fra Lui e noi. Questo chinarsi è alla base di ogni amore che abbisogna della gratuità per essere tale. Quando la relazione amorosa diventa una continua rivendicazione di diritti sull’altro, infatti, perde la sua veridicità e la spinta propria della gioia del donarsi per primi.
Il dono dello Spirito Santo scaturisce dallo spirare di Gesù sulla croce e, quindi, un evento di morte procura vita così come è del seme che morendo produce frutto. Il soffio richiede il sacrificio del donatore e ciò è possibile perché il Figlio si affida al Padre. Gesù, infatti, custodisce la promessa del Padre e sa che non lo abbandonerà nell’esperienza della morte.
Il dono dello Spirito Santo per ogni discepolo, allo stesso modo, è possibile attraverso la postura di affidamento che procura un essere generati a vita nuova. È comunione intima con il Cielo e partecipazione all’unico Corpo.
Comincia, così, una relazione di cura inedita: il servirsi a vicenda e il perdonare continuando a consumarsi per l’altro è frutto dell’amore ricevuto e condiviso. Non c’è più antagonismo in chi fa esperienza dello Spirito Santo ma legame nella comunione perché l’altro è riconosciuto come parte di sé e non più straniero.
Tornano in mente, ancora, i versi del cantore siciliano tratti da “La cura”: “Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto… e avrò cura di te”. Questa volta il tessere i capelli è frutto del dono e dell’amore per l’altro e non più un’azione rivolta a se stessi: l’amore diventa la relazione che cura!
Oggi ricordiamo anche l’efferata strage del ’92 a Capaci, in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, insieme agli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonino Montinaro. Un vile gesto mafioso che procurò la morte ma che non riuscì ad arrestare il dono d’amore di loro che si erano spesi per la causa della giustizia e per la rinascita della nostra terra. Ancora oggi quel dono rimane fecondo e continua a portare frutto perché il male è chiassoso ma non lascia traccia mentre il bene è umile ed ha cittadinanza eterna.