La solitudine è il grande male dell’uomo. Mai una relazione sarà così intima da fare uscire dalla propria solitudine se non dopo avere accettato il rischio di uscire fuori da se stessi, perdendo il criterio di convenienza, per affidarsi a qualcun altro. Questo spostamento è al centro del processo di fede e fino a quando l’individuo pretenderà di reggersi su se stesso rimarrà solo!
Organizzare la vita secondo un calcolo prudenziale, piuttosto, impedisce di esporsi e di aprirsi alla fecondità che porta alla gioia. È fecondo chi rischia di donare del proprio in modo gratuito per la gioia del prossimo; è fecondo chi si compromette per la causa sociale che non gli procurerà un beneficio personale; è fecondo chi svolge il proprio lavoro senza cadere nel compromesso per mantenere il ruolo. Tutto, altrimenti, può diventare sterile come accade nel mondo dello sport quando il giocatore è pagato a cifre esorbitanti e la sua passione per la squadra diventa solo una questione di zeri; o quando la politica si trasforma in accordi di potere piuttosto che servizio per il bene dei cittadini; o, ancora, quando la mafia riesce ad affiliare nuova manovalanza comprando la vita di alcuni che andranno a procurare la morte di altri.
Per entrare nella Settimana Santa è necessaria una scelta direzionale che chiede di compromettersi per la causa del bene anche se questo risulta impopolare e denigrato dalla “cultura del più forte”. Schierarsi dalla parte di chi detiene il potere sembra essere l’orientamento dominante nella storia, oggi così come al tempo di Gesù. Nella scena dell’arresto e della condanna a morte del Maestro, descritta nel Vangelo di oggi (Mc 14, 1 – 15, 47), troviamo un susseguirsi di personaggi che scelgono da che parte stare.
La prima è una donna che offre tutto ciò che di prezioso ha, un profumo di puro nardo, e il cui gesto è ritenuto da molti uno spreco. Da subito emerge la mentalità di chi ama e dona senza misura e, al contrario, quella di chi calcola per averne un profitto. Tra tutti gli astanti solo quella donna riesce ad incontrare Gesù, invece gli altri rimangono spettatori ed infatti, successivamente, fuggiranno. Appare emblematica la figura di Pietro: lui sarebbe disposto a sfidare la morte con la spada per difendere Gesù, ma non accetta di seguirlo attraverso un potere che passa per la consegna e, dunque, non per l’affermazione violenta.
Gesù, invece, entra in Gerusalemme su un’umile cavalcatura e poi si chinerà a servire i discepoli fino a lavare loro i piedi come farebbe uno schiavo. La questione, incomprensibile fino alla pasqua, sta nel fatto che Gesù è consegnato al Padre e la sua vita non è in balìa del potere degli uomini. Lui cammina per tessere amicizia malgrado quanti incontra tramano inimicizia fino a deciderne la morte. Giuda pretenderebbe, addirittura, di dare un prezzo al Maestro e, così, venderlo al costo di uno schiavo. Ma scoprirà, disorientato, che Lui si chinerà fino alla condizione dello schiavo ma per amore e non per sottomissione a quanti lo circondano.
Anche i servi maltrattano Gesù beffeggiandolo e schiaffeggiandolo: una serva denuncerà Pietro, la folla povera griderà la condanna del Messia prima acclamato, il ladrone in croce lo insulterà sfidandolo e lo stesso faranno i centurioni. Quasi tutti si alleano con il potente di turno, Sinedrio e Governatore romano, per partecipare a quella vittoria. È quello che spesso accade nella storia dell’umanità, le alleanze e i trattati di pace non sono frutto del riconoscimento dei diritti e del vero bene, ma espressione del compromesso per mantenere il potere dei più forti il quale, spesso, viene a ledere il diritto dei piccoli.
In questo racconto entra nella storia dell’umanità una prospettiva inedita e a ciascuno è data la possibilità di accedere alla stanza superiore, quella della cena pasquale in cui, per partecipare, si chiede di condividere tutto.
Si inizia a vedere, dunque, quello che sarà pienamente rivelato al mattino di pasqua e alcuni già intuiscono. Dopo la donna della scena iniziale, probabilmente una peccatrice che si è riconosciuta amata e perdonata, troviamo Pietro che in seguito al rinnegamento si scopre guardato da Gesù e scoppia in pianto, forse, perché riconosce fino a che punto il Maestro lo amava pur sapendo della sua fragilità. Anche un malfattore in croce vede oltre e chiede a Gesù di essere ricordato e cioè custodito nel Suo cuore, come ad intuire che in quella memoria è il senso di tutto. Pure il centurione ai piedi della croce riconoscerà la figliolanza di Gesù.
In sé, il morire in quel modo non avrebbe particolare senso ma è il costante dialogo con il Padre che rivela a tutti che innanzi hanno il morire per amore, senza misura per se stesso.
Il Salvatore arriva alla fine dei suoi giorni entrando nella tomba e anche lì dovrà essere accolto da qualcuno. Il tempo di Dio è attesa, attesa di essere accolto con fiducia ed è questa esperienza che trasforma il tempo cronologico di ciascuno in tempo di grazia e luogo della visita del Cielo. Da allora nulla rimane senza senso se la vita resta aperta alla Luce pasquale ma, per lasciarsi sorprendere, è necessario consegnare la propria vita.