Molti pensano ad una nuova vita come ad un rinascere da capo o un ritornare ad avere gli anni di prima o averne molti più davanti. Riflettono, dunque, su un piano quantitativo come a cercare un elisir di lunga vita, magari con una maggiore conoscenza come se questa permettesse di controllare il tempo, calcolare i profitti, e così riuscire ad essere sempre felici.
Sono tentativi interessanti per dare senso e sapore ai propri giorni ma quello che davvero ci permette di stare nel tempo che viviamo è la riconciliazione con la nostra storia. Altrimenti tutto diventerebbe un escamotage per evadere o per illudersi e così coprire quello che non si vuole vedere o che fa male.
Abbiamo bisogno di entrare nelle ferite e fragilità che hanno solcato i nostri giorni, di prendercene cura e trarne profitto perché tutto è fonte di insegnamento e base per guardare avanti. Rimorsi e sensi di colpa servono ad ingabbiare il cammino personale ma l’umanità riconciliata dal perdono è capace di uno slancio inedito, frutto della gratitudine per il dono ricevuto senza condizioni.
L’uomo religioso attendere di divenire perfetto prima di presentarsi a Dio, l’uomo riconciliato ha scoperto che malgrado la propria fragilità continua ad essere amato senza misura dal Signore. Un tempo nuovo è quello di chi scopre la propria esistenza visitata dal Cielo aldilà dei propri limiti, quello di chi torna a vedersi attraverso la luce dall’Alto, quello di chi si lascia sorprendere dall’umiltà di Dio che si china sui piccoli.
Cambia il criterio di misura e ciò che nutre la propria esistenza, cambiano le priorità e le scelte per attraversare il quotidiano.
Il Vangelo di questa quarta domenica di quaresima (Gv 3, 14 – 21) ci descrive l’incontro tra Nicodemo e Gesù. Il primo credeva di conoscere mentre il secondo lo invita ad entrare nell’esperienza della rinascita propria di chi si affida al Padre. Gesù rivela la necessità di volgere lo sguardo verso colui che sarà innalzato così come fu per Israele nel deserto quando Mosè elevò il serpente per ottenere la guarigione del popolo.
Allora Israele aveva smarrito la via non fidandosi della promessa di Dio e si era trovato in un’area insidiata dai serpenti e perciò mortale. Il popolo poté guarire ammettendo la propria colpa e pertanto elevando lo sguardo mentre Mosè mostrava il serpente di bronzo e, così, riconoscere che Dio non si ferma al peccato dell’uomo ma continua a salvare e cioè a desiderare la guarigione. Israele aveva fatto esperienza che il Signore non è vendicativo, ciononostante rimaneva nella notte come Nicodemo che, di notte, si reca da Gesù in quanto ancora sotto la luce della Legge e non della Pasqua.
Nel lungo dialogo tra i due scorgiamo continui fraintesi perché Nicodemo mantiene una mentalità religiosa che crollerà solo quando lo vedrà Crocifisso e, poi, troverà la tomba vuota al mattino di Pasqua.
Gesù porta così a compimento la sua missione e cioè rivelare il volto misericordioso del Padre. Lui che ha consegnato suo Figlio per amore dell’umanità tutta si conosce attraverso il volto di Gesù che continua a pregare per i suoi carnefici. È a questo grande mistero che ci apre il cammino quaresimale, una esperienza che già appartiene alla chiesa ma che è necessaria approfondire per mantenere la propria storia rivolta alla meta. Le tante prove della vita, infatti, potrebbero distoglierci facendo ripiegare su se stessi in modo vittimistico oppure reattivo, fino a determinare delle scelte autodistruttive.
Ricordiamo, dunque, che senza la luce pasquale è impossibile riconoscere il cammino della vita, è attraverso quella luce che è possibile lasciare sanare le proprie ferite e fare della storia personale una memoria grata, perché il Cielo visita e porta la Sua luce nelle zone d’ombra del passato senza mai abbandonarci.
È da stolti soffermarsi sugli eventi provandoli a leggere privi della luce del Cielo, equivale a caricarsi di menzogne e ad interpretare tutto in base alle proprie ferite. Se così fosse, ne scaturirebbe un modo proiettivo di stare nei rapporti umani con un carico di permalosità difensiva che impedirebbe di essere autentici gli uni verso gli altri.
In definitiva si è capaci di perdono solo se si è grati, ma fino a quando si parte da se stessi allora l’esistenza rimane imbrigliata in un circolo vizioso senza soluzione.
La rinascita, dunque, avviene passando per la misericordia divina. L’esperienza battesimale viene puntualmente rinvigorita stando nella vita sacramentale in relazione di prossimità con Dio ed i fratelli. Inevitabilmente il rapporto filiale con il Padre apre alla vita fraterna e nutrendo il rapporto verticale è possibile abbattere ogni muro d’inimicizia, perché nel Suo amore ogni muro è già caduto.