Il Dio della storia si è chinato su di noi, l’unico modo per avvicinarsi era farsi come noi, uno di noi. Sì, era necessaria l’incarnazione perché altrimenti l’umanità avrebbe continuato a cercare Dio in Cielo dimenticandosi della importanza del riconoscerlo presente in terra.
È un passaggio determinante e non perché si debba rimanere schiacciati in una visione orizzontale della vita ma, piuttosto, perché abbiamo bisogno di rimanere nella storia illuminati dalla luce che viene dal Cielo. Ogni altro tentativo, di fuga dalla realtà per idealizzare un altro mondo perfetto o di ricerca assoluta nel contingente per trovare ogni sorta di risposta, sarebbe inappropriato!
Il genere umano, dunque, si trova in una condizione spazio temporale che viene visitata in modo inedito con l’incarnazione di Dio. A poco vale il tentativo di trasformare l’evento natalizio in una bella festa, colma di apparenze, come se questo potesse aggiungere significato ad un mistero così grande, anzi, tale pretesa potrebbe rischiare di falsarlo in una sorta di poesia priva della rivelazione natalizia. In quel caso cambierebbe il modo di approcciarsi all’evento cercando di ammirare la bellezza di superficie, le suggestioni di un momento, i regali segno dello sfarzo e non della relazione d’amore.
Non possiamo delegare il senso del Natale alle cose o alla impeccabilità di una casa decorata o di una mensa specialmente imbandita. O, meglio, questi segni rimarranno autentici se, nel momento della prova, il Natale manterrà lo stesso valore e significato e, allora, il ricordo della festa condivisa potrà allietare i cuori per il bene ricevuto. È quello che stiamo vivendo in questi giorni di tempesta pandemica che sta passando al crogiolo l’umanità sparsa in tutto il mondo. Il dolore, la tristezza e la solitudine, paiono essere emozioni diffuse che toccano tutti e lo stare nella storia lo richiede: ma è possibile celebrare autenticamente il Natale in questo tempo?
Certamente, se ascolti vedi, se accogli il Natale rimane dono. È importante non cadere nella tentazione di dare primato al vedere per credere, all’appropriarsi per verificare: è la fiducia il punto di partenza. Maria si fida malgrado le apparenze delle propria fragilità e impotenza, Giuseppe si fida nonostante non comprenda quel che sta accadendo, i magi rimangono in viaggio certi che la stella rivelerà qualcosa di prezioso così come promesso, i pastori nel buio della notte si mettono in cammino lasciandosi provocare da ciò che sta accadendo.
Il segno evidente per tutti, sarà un neonato avvolto in fasce che giace in una mangiatoia. Il Natale parla di fragilità e ciò significa tenerezza e fiducia, amore e condivisione. Dio si consegna nelle mani dell’umanità, è questo il miracolo del Natale, Lui non ha cercato un’umanità diversa ma è partito da quel che siamo chiedendo di accogliere la possibilità autentica della nostra vita. A ciascuno è dato di essere dimora di Dio, e non si tratta di un rapporto formale o, ancora, devozionale ma di lasciarsi trasformare in Lui. Lo stare nella mangiatoia è indicativo di questo nutrimento nuovo che orienta l’esistenza verso un bisogno intimo e profondo di Dio che si fa cibo.
Francesco d’Assisi contemplerà questa mirabile scena ogni volta che parteciperà alla celebrazione eucaristica perché lì il Signore continua a consegnarsi all’umanità tutta per restituire luce e direzione. Abbiamo bisogno di tornare a celebrare Natale ogni giorno della nostra vita, ad assaporare la sapienza che permettere di riconoscere ogni cosa secondo la luce interiore, quella che abbiamo accolto e nutriamo rimanendo in ascolto della Parola, l’unica che svela il seno di ogni cosa.