Una certa cultura globalizzata vorrebbe uniformare tutto in questo mondo. Un pensiero unico, senza più distanza e diversità, funzionale alla omologazione del mercato dei consumi. Eppure l’essere umano è molto di più ed è la diversità ad esprimere la profondità della nostra specie e la capacità culturale propria di chi sa sostenere la relazione mantenendo le differenze.
È la combinazione dei colori e delle forme a generare un’opera d’arte, e la peculiarità delle sfumature permette di riconoscerne l’autore. Per ammirarla, inoltre, è necessaria la giusta distanza così come il pittore ha bisogno di distanziarsi per cogliere l’opera in germe nel mentre che prende vita.
È singolare che Gesù accompagni i suoi nel punto più distante da Gerusalemme per fare chiarezza su chi è Lui di fronte a loro. Il Vangelo di questa domenica (Mt 16, 13-20) ritrae la scena a Cesarea di Filippo e non si tratta solo del luogo più lontano in cui arriveranno prima di intraprendere il viaggio verso Gerusalemme, ma pure di un contesto culturale e religioso molto distante dalla fede d’Israele.
Il tetrarca Filippo aveva intitolato la città all’imperatore Tiberio Cesare considerato al pari di una divinità. Il potere romano mostrava la sua onnipotenza e a ciascuno era chiesto di sottomettersi per avere protezione e giustizia. A quella mentalità Israele reagiva e scribi e farisei esprimevano i loro moniti di conversione e ribellione ma, in realtà, quell’agire rispecchiava lo stesso modo di trattare il potere e, anche loro, in nome della religione pretendevano di sottomettere il popolo attraverso i dettami.
Lì Gesù chiede ai suoi discepoli cosa diceva di Lui la gente. Non si tratta di mera curiosità ma di una domanda volta a chiarire e svelare l’inganno che potrebbe ancora ottenebrare quanti pensano di seguire il Maestro. La mentalità di molti, infatti, era legata alle figure degli antichi profeti, uomini giusti e somiglianti a Gesù, però era necessario scorgere un passaggio fondamentale.
La risposta di Pietro rivelerà questa luce: Gesù è il messia atteso e, al contempo, il Figlio di Dio. Pietro lo riconosce distaccandosi da ogni sorta di precomprensione. È inedita la sua professione di fede e rimarrà incomprensibile per l’israelita fino a quando non avrà accolto l’azione dello Spirito. Per aprirsi alla rivelazione di Dio è necessario partire dall’agire vivificante dello Spirito Santo altrimenti si rimane con vecchi schemi che vorrebbero coniugare l’antico e il nuovo, la profezia di prima con la novità di ora in un compromesso storico che non accetta la liberazione operata dalla misericordia. Questo esprimeva l’identificazione del Messia con il Dio vivificatore.
I profeti hanno preparato il popolo ad accogliere il Messia ma è necessario un cambiamento radicale di mentalità per accoglierlo dentro di sé. Lo stesso accade ai nostri giorni quando si fa un grande parlare del diritto di cittadinanza degli stranieri con parole di manifesta violenza, piuttosto che riflettere su come prenderci cura dell’umanità, nessuno escluso, e non perché alcuni hanno più valore di altri.
Gesù chiede riconoscimento nel luogo più distante e contaminato perchè se non lo si riconosce lì, tutto il resto è mera dottrina estranea alla sua presenza. In quel luogo Pietro sarà riconosciuto come roccia su cui fondare la Chiesa, il discepolo intimamente unito al Maestro e non più la “pietra” volubile e centrata su se stessa. Ciò comporterà un’esperienza preziosa per l’apostolo in quanto non sarà la sua forza a reggerne il cammino ma la misericordia di Dio a cui potrà legarsi ogni volta che si riconoscerà debole e comprenderà di avere fallito.
I fallimenti nella storia dell’umanità sono dovuti alla perdita di questo legame fondante e i disastri più gravi sono stati dovuti a uomini che pretendevano di reggersi su di sé. A Pietro sarà consegnato il potere di legare e di sciogliere, ossia di accogliere nel bene e di liberare da ogni male usando la misericordia. Quando Gesù, poco dopo, gli rivelerà che dovrà molto soffrire fino ad arrivare alla Croce, Pietro si ribellerà perchè ancora non ha maturato che esiste un solo modo per fronteggiare i mali della storia. A compimento dei suoi giorni anche lui sarà capace del dono totale perchè su Cristo fondamento della Chiesa, finalmente, avrà poggiato senza riserve la sua vita.
Oggi la nostra Comunità di Danisinni ha accolto il piccolo William con il dono del battesimo. Un’esperienza della misericordia del Cielo per chi ha occhi per riconoscere che Dio bussa e chiede di essere accolto ogni giorno nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri pensieri troppo spesso intossicati dalla logica de “mio” da difendere e dello straniero da eliminare. È lì che Lui rimane fuori dalla nostra vista e lontano dal nostro quotidiano.