La fatica del vivere non dipende dai carichi che si portano ma dal come si portano. Mi rendo conto che per molti il quotidiano non è affatto scontato e il fronteggiare economie precarie, fragilità fisiche e relazioni interpersonali problematiche non è semplice. Eppure, loro, i “piccoli” di questo mondo, riescono ad andare oltre con una fiducia e una forza che scaturisce dal rispetto del limite e, al contempo, dal rimanere a guardare in alto.
Gli umili della terra ci danno questa straordinaria lezione, loro non hanno consegnato alle brame di potere e ai soldi la loro esistenza ma sono rimasti capaci di condivisione e di comunione nonostante tutto. I piccoli sono abituati a resistere nel quotidiano, a fare un passo alla volta e a chiedere aiuto perché sanno di non potere riuscire da soli. Per loro il limite è da affrontare con umiltà e, in questo modo, riescono a cogliervi un segno per discernere la via da seguire, una indicazione sul cammino da attraversare.
Al contrario chi si fa forte di sé stesso, di fronte alla precarietà della vita cerca scorciatoie e continue fughe per dimostrare che niente potrà arrestare la propria onnipotenza. Sono quelli che vivono pesantemente il quotidiano, incapaci di gustarne la semplicità e abili in profonde ingiustizie pur di rimanere in piedi.
Nel Vangelo di questa domenica (Mt 11, 25-30) troviamo Gesù che ringrazia il Padre perché ha rivelato ai piccoli la via della comunione piena, la via che li rende capaci del Cielo. I dotti e i sapienti ne rimangono fuori perché credono, già, di sapere o comunque di farcela da soli.
Gesù, di fatto, annuncia a tutti la Parola del Padre e con Lui desidera condividere pienamente la via che porta al Cielo. Diventare discepoli significa mettersi in cammino accogliendo l’invito del Maestro, è una risposta che implica fiducia e adesione personale. Dunque, non è una esperienza passivizzante ma un mettersi in cammino rispondendo alla chiamata di Dio.
Senza questa risposta personale la vita nello Spirito sarebbe una mera imitazione come a volere essere simili a Gesù sforzandosi di avere i suoi sentimenti, ad esempio la sua mitezza. La rivelazione, piuttosto, procede partendo dall’amore di Dio il quale si fa prossimo e si consegna per donare vita. Chi lo accoglie viene trasformato interiormente e perciò vede secondo la Luce che custodisce nel cuore.
Accogliere, ancora, significa poggiare su di Lui ogni carico per portarne il giogo. Senza questa vicinanza sarebbe impossibile sostenere la fatica del cammino, rimanere a dare senso alle cose e trovare la via che porta oltre ogni limite. È già l’incarnazione a mostrare come l’umano sia divenuto capace della vita di Dio: Lui ha assunto pienamente la carne umana, non il peccato, e cioè ha mostrato come sia possibile vivere nella nostra limitatezza il sentimento che è proprio di Dio e cioè la sua capacità di ragionare e di stare nelle cose della vita.
Lui entra in Gerusalemme su un umile asino che per Israele indicava la cavalcatura del giudice e del re della pace. Con questa postura Gesù si fa prossimo, non con la fierezza del cavaliere che pretende di conquistare e sconfiggere con la forza e la velocità ma con la capacità di sostenere i carichi propri e dell’asino.
L’umile cavalcatura non corre come a volere saltare le tappe attraverso scorciatoie di turno ma riesce a scalare anche le montagne con la pazienza del quotidiano.
L’umanità ha bisogno di questo ristoro e di ritrovarsi in un ritmo che le permette di ascoltare la voce dei piccoli sempre legata al rispetto dell’ambiente e alla economia di comunione. Senza questa capacità di stare nella storia non potrà esserci spazio per la giustizia e la pace tra i popoli, e si nutriranno rapporti impari legati a vittime e carnefici, schiavi e liberi, oppressi e oppressori.
Ciò che non deve stupire, però, è che i primi hanno la sapienza della vita, rimangono in cammino nonostante tutto, e a loro il Cielo resta sempre vicino. Anche se apparentemente, secondo la logica di questo mondo, sono dei perdenti, di fatto sono gli unici che stanno rendendo fecondo il dono ricevuto, sono loro che ci precederanno nel Regno dei Cieli.
Se la politica dei nostri giorni ripartisse dall’ascolto dei piccoli, ecco che allora ci sarebbe autentica giustizia e pace. Al di là dei tristi profitti di pochi si diffonderebbe lo straordinario sorriso delle moltitudini.