Oggi ci viene chiesta una inversione di prospettiva, una lettura profonda dell’esistenza che non si ferma a quel che appare in un istante. Anche gli ultimi accadimenti legati alla pandemia hanno contribuito ad alimentare una visione catastrofica della vita, un pensiero triste affezionato ai ricordi traumatici e agli eventi di morte. Un’attenzione selettiva che sembrerebbe prepararci ai momenti peggiori in modo da non rimanere delusi e ulteriormente amareggiati.
Il punto sta proprio nel fatto che la delusione è frutto di una idealizzazione delle cose della vita che cerca la felicità in ciò che appare e sembra garantire lusso, bellezza, potere. La stessa impostazione la troviamo pure nella religione quando diventa una ricerca perfezionistica basata su comportamenti moralmente impeccabili come se l’essere umano potesse trasformarsi in una sorta di angelo!
La vita, però, restituisce verità alle cose: l’essere umano nel quotidiano scopre tutta la sua limitatezza e gli idoli di turno, nel tempo, si rivelano una mera finzione identitaria.
Lo stato depressivo dell’uomo contemporaneo che oscilla tra una elevata euforia e un crollo vittimistico segnato da emozioni tristi molto pervasive, denuncia che non è sostenibile simile postura esistenziale perché snatura il cammino dell’essere umano e lo costringe a performance che lo privano del gusto del viaggio. Non c’è più stupore, meraviglia, ricerca, in chi calcola una vita perfetta e idealizzata.
La festa della Santissima Trinità restuisce orizzonte di senso ma è necessario ammettere una inversione di tendenza: è il Cielo a chinarsi sull’umano altrimenti continueremmo a costruire torri di Babele centrate sulla pretesa di riuscire ad arrivare in Alto.
La comunione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, si apre all’umanità tutta che viene resa partecipe dell’amore che attraversa le tre persone divine. Segnarsi con il segno della Croce, dunque, non è un’evocazione di morte ma riconoscere che la nostra identità è abitata dall’Amore che un giorno, proprio sulla croce, ha raggiungo la sua donazione massima.
La comunione del Cielo si è aperta ad ogni essere umano ma ciò non è comprensibile da spettatori come se si studiasse una particolare dottrina, piuttosto è immergendosi nella relazione filiale che è possibile farne esperienza.
Credere nel Figlio apre a questo rapporto intimo attraverso il quale Lui ci ha svelato il Padre e tale fede scaturisce dall’accoglienza dello Spirito Santo, è Lui che permette di muoversi perchè amati. Ogni azione che non scaturisce dall’amore ricevuto perde di importanza perchè sarebbe come una sorta di compensazione volta ad appagare un vuoto esistenziale. La nostalgia di Dio è ben altra cosa, è ricerca ed approfondimento di una relazione che già nutre il cammino e continua ad affascinare perché mai del tutto conosciuta.
Questo cammino rivela l’esistenza cristiana che non procede in termini di appropriazione come se l’amore potesse essere conquistato – da questa menzogna, semmai, scaturiscono contese e rivalità, gelosie ed invidie – piuttosto procede per donazione, perché chi accoglie l’Amore vive di gratitudine e dono gratuito.
Nei mesi appena trascorsi, a motivo del confinamento, abbiamo in particolare sofferto per
la mancanza della Liturgia eucaristica proprio perché è il luogo privilegiato del nutrimento e del dono. In ogni Messa si consegna la propria esistenza e si accoglie quella di Dio, viene rinnovata la comunione con Lui e tra di noi perché ci si sperimenta Corpo di Cristo: chi accoglie il dono ne diventa parte.
Non ci è dato, dunque, di esprimereOggi ci viene chiesta una inversione di prospettiva, una lettura profonda dell’esistenza che non si ferma a quel che appare in un istante. Anche gli ultimi accadimenti legati alla pandemia hanno contribuito ad alimentare una visione catastrofica della vita, un pensiero triste affezionato ai ricordi traumatici e agli eventi di morte. Un’attenzione selettiva che sembrerebbe prepararci ai momenti peggiori in modo da non rimanere delusi e ulteriormente amareggiati.
Il punto sta proprio nel fatto che la delusione è frutto di una idealizzazione delle cose della vita che cerca la felicità in ciò che appare e sembra garantire lusso, bellezza, potere. La stessa impostazione la troviamo pure nella religione quando diventa una ricerca perfezionistica basata su comportamenti moralmente impeccabili come se l’essere umano potesse trasformarsi in una sorta di angelo!
La vita, però, restituisce verità alle cose: l’essere umano nel quotidiano scopre tutta la sua limitatezza e gli idoli di turno, nel tempo, si rivelano una mera finzione identitaria.
Lo stato depressivo dell’uomo contemporaneo che oscilla tra una elevata euforia e un crollo vittimistico segnato da emozioni tristi molto pervasive, denuncia che non è sostenibile simile postura esistenziale perché snatura il cammino dell’essere umano e lo costringe a performance che lo privano del gusto del viaggio. Non c’è più stupore, meraviglia, ricerca, in chi calcola una vita perfetta e idealizzata.
La festa della Santissima Trinità restuisce orizzonte di senso ma è necessario ammettere una inversione di tendenza: è il Cielo a chinarsi sull’umano altrimenti continueremmo a costruire torri di Babele centrate sulla pretesa di riuscire ad arrivare in Alto.
La comunione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, si apre all’umanità tutta che viene resa partecipe dell’amore che attraversa le tre persone divine. Segnarsi con il segno della Croce, dunque, non è un’evocazione di morte ma riconoscere che la nostra identità è abitata dall’Amore che un giorno, proprio sulla croce, ha raggiungo la sua donazione massima.
La comunione del Cielo si è aperta ad ogni essere umano ma ciò non è comprensibile da spettatori come se si studiasse una particolare dottrina, piuttosto è immergendosi nella relazione filiale che è possibile farne esperienza.
Credere nel Figlio apre a questo rapporto intimo attraverso il quale Lui ci ha svelato il Padre e tale fede scaturisce dall’accoglienza dello Spirito Santo, è Lui che permette di muoversi perchè amati. Ogni azione che non scaturisce dall’amore ricevuto perde di importanza perchè sarebbe come una sorta di compensazione volta ad appagare un vuoto esistenziale. La nostalgia di Dio è ben altra cosa, è ricerca ed approfondimento di una relazione che già nutre il cammino e continua ad affascinare perché mai del tutto conosciuta.
Questo cammino rivela l’esistenza cristiana che non procede in termini di appropriazione come se l’amore potesse essere conquistato – da questa menzogna, semmai, scaturiscono contese e rivalità, gelosie ed invidie – piuttosto procede per donazione, perché chi accoglie l’Amore vive di gratitudine e dono gratuito.
Nei mesi appena trascorsi, a motivo del confinamento, abbiamo in particolare sofferto per
la mancanza della Liturgia eucaristica proprio perché è il luogo privilegiato del nutrimento e del dono. In ogni Messa si consegna la propria esistenza e si accoglie quella di Dio, viene rinnovata la comunione con Lui e tra di noi perché ci si sperimenta Corpo di Cristo: chi accoglie il dono ne diventa parte.
Non ci è dato, dunque, di esprimere la bellezza trinitaria da soli, è il riconoscersi accanto a dei fratelli a rivelare la propria identità, diveniamo Corpo nel Noi e non individualmente!
È così che le Comunità segnate dalla condivisione e dal dono gratuito diventano epifania del Cielo, e i cerchi di comunione sparsi per il mondo rivelano l’unica appartenenza al Signore che attraversa i luoghi e i tempi, rendendo eterna la storia dell’umanità che accoglie la Luce che nessuno è capace di darsi o di creare. A ciascuno è dato di meravigliarsi perché la vita, quella autentica, è pienamente Dono.
È così che le Comunità segnate dalla condivisione e dal dono gratuito diventano epifania del Cielo, e i cerchi di comunione sparsi per il mondo rivelano l’unica appartenenza al Signore che attraversa i luoghi e i tempi, rendendo eterna la storia dell’umanità che accoglie la Luce che nessuno è capace di darsi o di creare. A ciascuno è dato di meravigliarsi perché la vita, quella autentica, è pienamente Dono.