Tempo di isolamento e di custodia di sé per custodire l’altro, di rinuncia per volere bene. La grammatica dell’amore pareva avere perso il senso dei confini e dell’individuazione per vivere l’incontro con l’altro differente da sé, ed era scivolata in una spasmodica ricerca fusionale priva di “no” e bisognosa di continuo compiacimento.
Oggi che viviamo giorni di solitudine forzata stiamo riscoprendo il linguaggio delle vicinanza, dell’essere prossimi l’uno all’altro. Ci siamo fermati bruscamente e pian piano stiamo cercando di dare significato a questo tempo che fin dall’inizio ha fatto paura perchè troppo vuoto.
La sosta ci sta facendo riconoscere quel che davvero ci manca e stiamo andando in profondità passando per il cazzeggio evasivo, nel tentativo di alleggerire la tensione, fino ad arrivare all’ascolto di quel che è davvero essenziale alla nostra vita. È un disintossicarci da ciò che nel tempo “troppo pieno” ci ha resi dipendenti, per ritrovare ora quello che davvero può nutrire il nostro cammino vitale. Stiamo riconsiderando il valore delle tante fughe dinanzi ad un display con un’amante, col gioco d’azzardo o, ancora, con le sostanze per aumentare le nostre prestazioni, e stiamo chiedendoci se il vero appagamento sta da un’altra parte!
Pare, dunque, che il baricentro si stia spostando comprendendo che non siamo il centro di tutto, ci siamo accorti dell’altro: di quel vicino a cui non avevamo dato alcuna confidenza e che adesso appare umano proprio come noi; degli anziani riconoscendo loro il diritto a non essere perfetti e perciò accettandone i limiti, le pretese e le preoccupazioni; del creato, anche delle regioni più distanti, come ad esempio la foresta amazzonica che ci dona la possibilità del respiro quotidiano; delle persone con cui condividiamo tutti i giorni e che troppo spesso abbiamo dato per scontate.
La gente sta comprendendo che di Covid – 19 si può morire ed è corsa ai ripari e, lo abbiamo ripetuto, non si tratta solo di un ritiro legato alla propria salvaguardia ma alla custodia di quanti sono più deboli: gli anziani, i piccoli, gli ammalati. I legami affettivi e la solidarietà che caratterizzano il nostro Paese hanno riattivato un senso di responsabilità che, negli ultimi tempi saturi di frenesia, pareva ormai smarrito.
Anche la piazza del nostro rione Danisinni si è svuotata rispondendo, così, alle misure restrittive e le famiglie seppure numerose in questi giorni si stanno adattando a vivere in pochi metri quadri di abitazione in attesa della fine della pandemia. Ma ci chiediamo fino a quando potremo resistere in condizioni di estrema precarietà e penso, in particolare, alle fasce di popolazione più povera a cui mancano i beni di prima necessità oltre che gli spazi vitali.
Nella nostra Città molte famiglie si reggono su un salario giornaliero privo di contratto lavorativo, è il mondo sommerso che garantisce gran parte dell’economia locale. Per loro sono necessarie autentiche azioni di solidarietà e non sono certo sufficienti i cori dai balconi per sostenere la resistenza quotidiana.
La riflessione sul significato di questo tempo è preziosa al fine di maturare nuove visioni di vita ma non possiamo trascurare la fatica dell’oggi sotto la quale molti rischiano di soccombere. La nostra Comunità di popolo, la parrocchia Sant’Agnese, ha ben chiaro che la prospettiva futura va coniugata con l’emergenza di ora, ascontando le istanze basilari della gente.
Non possiamo “abituarci” al lucido pragmatismo del premier britannico Boris Johson, che vorrebbe affidare i processi evolutivi alla resistenza del più forte che, in realtà, non è solo chi lo è biologicamente ma anche quanti, in caso di necessità, potrebbero permettersi le spese per delle cure specifiche!
La nostra esistenza non è affidata al mero calcolo probabilistico e tanto meno a criteri di potere. C’è un di più che sfida il computo umano e che ci viene testimoniato, in questi giorni, in modo esemplare dalla gratuità con cui si spendono i medici con il personale ospedaliero di tutta Italia insieme alle forze dell’ordine, i parroci e tanti altri.
Per molti la fede si traduce in operosità al di là del comprensibile, in speranza al di là del preventivabile, in visione che va oltre e che dona la forza dell’agire. Certo, tutto questo non ha solo un valore contingente, non lottiamo perchè tutto sia ridotto a questa vita, la meta è un’altra ma è l’amore dei giorni presenti a darci il sapore dell’eternità. È per il Cielo che siamo fatti ma già la nostra terra è chiamata ad esserne delicato riflesso.
È perciò che continuiamo a camminare nella prova, non intrappolati dalla paura, ma fiduciosi che il trascorrere dei nostri giorni ha senso se è un consumarsi che porta all’Incontro, e lì comprenderemo pienamente che di quel che è oggi, nulla va perduto.
Immagino la commozione, il pianto e l’esultanza, l’inginocchiarsi e l’abbracciare il vicino, il correre fuori e al contempo il fermarsi per l’emozione, quando ascolteremo la notizia che annuncia la fine della pandemia. Nel mentre il gelsomino in fattoria è già fiorito, come a ricordarci che arriverà la primavera, e sarà magico il giorno in cui potremo tornare a condividerne il profumo.