La reazione automatica di molti dopo la notizia del coronavirus e ieri pomeriggio, dopo l’allerta in alcuni quartieri palermitani per l’uso dell’acqua della rete idrica dichiarata non potabile, è stata quella del saccheggio dei supermercati ora per caricare provviste mensili ora per rastrellare ettolitri di acqua imbottigliata. Al supermercato pare venga deputata la garanzia della propria sopravvivenza.
Sebbene tale sintomo rivela l’individualismo culturale che ci sta dominando, questi giorni, del tutto anomali per molti di noi, paiono l’occasione per tornare a riflettere su quel che siamo.
Di blocco i ritmi si sono incredibilmente rallentati, nelle agende compaiono sempre più spazi vuoti, tempi “non produttivi” e quindi dediti a recuperare un ritmo più umano, magari fermandosi a parlare, leggendo o riposando. Certo l’economia di molti è bruscamente crollata e olte alle fasce di popolazione più fragile sarà importante sostenere quanti stanno vivendo la disperazione nel vedere fallire la propria attività lavorativa.
L’onnipotenza del mercato internazionale ha improvvisamente mostrato la sua vulnerabilità non riuscendo a controllare confini e strategie economiche di fronte ad una famiglia di virus percepibili solo al microscopio elettronico.
Il mondo tutto ad un tratto si è scoperto interdipendente e la salute degli uni necessaria a quella di tutti gli altri. Le consuete etichette discriminanti hanno lasciato spazio alla consapevolezza di appartenere alla medesima specie: quella umana!
Eppure è necessario andare oltre, non è sufficiente il dato biologico per renderci umani, è fondamentale un ascolto che restituisca luce al cammino dell’uomo. E proprio il racconto della trasfigurazione che meditiamo in questa domenica di quaresima risponde a tale istanza basilare.
Gesù ha appena annunciato che il cammino verso Gerusalemme lo porterà a soffrire e a donare la propria vita per la salvezza di molti. I discepoli non hanno compreso il senso di quelle parole, non ammettono che il loro Messia debba passare per la sofferenza ed il rifiuto fino alla ignominia della croce.
Gesù, ora, li porta in alto su un monte per rivelare una prospettiva nuova. È un modo inedito di stare nelle questioni della vita, non totalmente immersi come nella frenesia di tutti i giorni ma capaci di sostare per riconoscere quel che prima li trovava indifferenti. I loro occhi si aprono e vedono il Maestro trasfigurato, luminoso con una veste bianca raggiante.
Vedono perchè ascoltano, non è Gesù a cambiare ma sono loro ad aprirsi a quel che è innanzi. Il Padre indica il Figlio come l’amato ed invita ad ascoltarlo. Gesù con tutta la sua esistenza terrena rivelerà il volto del Padre attraverso gesta e parole.
L’amore non può essere raccontato se non con la vita e le azioni di Gesù parlano di questo desiderio costante di donazione per l’umanità tutta. Il suo consumarsi per amore rivela il legame che Dio ha con ogni essere umano e ciò fa uscire da ogni logica intimistica perchè equivale ad entrare in relazione con il Padre che ama tutti i suoi figli, nessuno escluso.
È spezzata la rivalità per primeggiare, la ricerca del proprio tornaconto. L’agire interessato lascia il posto alla via del perdono e della condivisione per amore. Non è più necessario contrapporsi per esserci ma è il dono la nuova strada che approfondisce l’esperienza umana.
La veste è pure luminosa perchè la materia non è più segnata dalla logica del peccato delle origini che era fondata sulla pretesa di farsi come Dio entrando in competizione con Lui. Nel racconto della Genesi il tentativo di costruirsi una veste è fallimentare e da allora l’umanità si nasconde per paura dello sguardo di Dio.
L’episodio della trasfigurazione fa uscire i discepoli da questo timore e permette al Cielo di rivelare il suo vero volto. Il corpo luminoso di chi ama rende luminosa pure la veste perchè il dono illumina e l’amore si effonde perchè è gratuità per l’altro e non calcolo interessato.
L’apertura in questa nuova prospettiva, dunque, non è più dettata dal bisogno ma dal desiderio di bene per l’altro. La tenerezza non ha un prezzo ma esprime gratitudine, quella propria di chi si sperimenta figlio e, perciò, non ha più bisogno di nascondersi.
Dopo la Pasqua i discepoli comprenderanno appieno questa scena e ne saranno totalmente conquistati, per gratitudine anche loro saranno capaci di donarsi fino al martirio. Hanno appreso, infatti, che l’amore vive quando si consuma.